Come funzionano veramente gli I Ching?

Tommaso Guariento
52 min readMar 24, 2024

Yijing (1300 a.C. — 136 a.C.)

L’Yijing o Classico dei Mutamenti non è un libro come altri. Si tratta di un oggetto unico nel suo genere, caratterizzato da una storia millenaria di stratificazioni ermeneutiche. La prima forma che questo testo ha avuto non era nemmeno quella di un libro, ma si trattava di un insieme di segni estrapolati dall’osservazione dalle screpolature prodotte della combustione della corazza ventrale delle tartarughe (piastrone) o delle scapole di bovini. Questa prassi mantica, detta piromanzia, è databile all’incirca al 1300 a.C., in epoca Shang, anche se si sono trovati dei resti d’ideogrammi incisi su ossa in un’epoca molto precedente, fra il 6200 e il 6000 a.C.

Il procedimento di piromanzia aveva un’origine sciamanica, e procedeva secondo una fase di pulizia dalle carni, seguita dall’esecuzione di perforazioni in punti specifici delle ossa e si concludeva con l’avvicinamento di un oggetto rovente che avrebbe contribuito a generare delle spaccature successivamente interpretate come responsi da fornire al sovrano che richiedeva una consultazione.

Questo tipo di divinazione non aveva un’origine popolare, ma era ufficiata da esperti e orientata alla risoluzione di quesiti riguardanti il destino del regno o la vita personale del sovrano.

L’Yijing, per come lo conosciamo oggi, è un vero e proprio libro, composto da una parte iconica e da una serie di commenti, denominati Ali. La parte iconica del Classico dei Mutamenti si compone di 64 figure, dette esagrammi, composte da 6 linee intere o spezzate, interpretate come polo Yin e polo Yang. L’origine di questi segni sembra essere una forma di scrittura stenografica estrapolata a partire dai responsi della piromanzia.

La leggenda narra che l’inventore degli Yijing sia stato l’eroe culturale Fuxi, generatore dell’umanità e ideatore di caccia, pesca, cottura, musica, scrittura, metallurgia e della sfera dei riti.

Un tempo, quando Fuxi regnava da sovrano del mondo, egli levò gli occhi a contemplare le configurazioni visibili nel Cielo, poi li abbassò per osservare i modelli sulla Terra. Scrutò attentamente le tracce degli uccelli e delle bestie selvagge, in conformità con le variazioni della Terra. Giudicava di ciò che era vicino a partire da sé stesso, e di ciò che era lontano a partire dalle cose. Fu allora che egli inventò gli otto trigrammi, al fine di poter comprendere l’efficacia degli esseri numinosi e di poter classificare la molteplicità dei diecimila esseri” (Yijing, Grande Commentario)

La successiva leggenda degli Yijing spiega come gli otto trigrammi introdotti da Fuxi — ovvero da configurazioni di tre linee, aperte (- -) o chiuse ( — ) — siano stati ‘raddoppiati’ dal re Wen della dinastia degli Zhou, creando così i 64 esagrammi, a cui il duca di Zhou attribuirà una specifica sentenza oracolare per ogni linea.

Questa leggenda stabilisce anche che gli Yijing racchiudano al loro interno non solo una conoscenza divinatoria espressa da commentari e responsi oracolari, ma la traccia storiografica e ideologica del passaggio dalla dinastia Shang (XVIII-XVI secolo a.C.) alla dinastia Zhou (IX secolo a.C.-256 a.C.)

Il passaggio dalla concezione religiosa Shang alla nuova visione cosmologia dei Zhou ha l’effetto di svincolare la legittimazione del potere dalla discendenza diretta e di promuovere l’idea di Mandato Celeste (tianming), che resterà centrale nella metafisica cinese fino ai nostri giorni: il Cielo conferisce il Mandato e può ritirarlo in qualsiasi momento se chi governa non è all’altezza del compito, ovvero se la sua virtù non è conforme all’ordine inerente nella natura e nell’universo” (Tiziano Mattei, Introduzione all’I Ching)

Il legame fra la dinastia Zhou e lo Yijing è talmente stretto che anticamente era conosciuto anche sotto il nome di Zhouyi (Mutamenti degli Zhou). La fase successiva dello Yijing è l’aggiunta delle Dieci Ali, o commentari, attribuita mitologicamente a Confucio (VI-V secolo a.C.), ma che sicuramente è il portato di un lavoro collettivo.

La differenza fra il modello di divinazione sciamanica praticata nell’Età del Bronzo (dinastia Xia), presso la successiva dinastia Shang e quella introdotta dagli Zhou consiste nella progressiva ‘razionalizzazione’ delle domande e dei responsi. Se la prassi sciamanica era ancora legata a divinità e antenati, che potevano essere evocati tramite piromanzia e attraverso il pegno di un sacrificio, lo Zhouyi è invece figlio di un modello cosmologico più astratto, che culminerà con la composizione del Grande Trattato o Grande Commentario, composto, assieme alle altre nove Ali, in un periodo che va dagli Stati combattenti (403–256 a.C.) all’inizio della dinastia Han (200 a.C. circa).

Il Grande Commentario è stato redatto probabilmente alla fine dell’ultimazione del testo degli Yijing, e il 136 a.C. è la data in cui il Classico dei Mutamenti acquisisce la sua forma definitiva e viene introdotto nella lista dei Classici (Libro delle Odi, Annali delle Primavere e degli Autunni, Libro dei Documenti e Libro dei Riti), ovvero i testi fondamentali che era necessario conoscere per far parte dell’intellighenzia dell’epoca.

Il Grande Commentario ha un ruolo preminente nella seconda tornata ermeneutica che ha riplasmato il Classico dei Mutamenti, la prima essendo il passaggio dalla prassi sciamanica alla compilazione di un testo. Quando gli Yijing vengono interpretati come una descrizione cosmologica del mondo — una sorta di grande schema dei mutamenti dell’universo — i dettagli storici e le particolarità divinatorie iniziano progressivamente ad entrare in secondo piano, venendo a creare un testo nuovo, aggiornato dalla speculazioni metafisiche dei secoli precedenti. Durante la dinastia Zhou, nell’epoca delle cosiddette Cento scuole, fiorirono confucianesimo e taoismo, speculazioni cosmologiche e alchemiche, nonché riflessioni filosofiche, politiche ed etiche.

Il filosofo e sinologo François Jullien osserva che lo sviluppo storico della civiltà cinese abbia conciso con la stratificazione e il disvelamento dello Yijing, che, a sua volta, corrisponde all’ordine dinamico della realtà.

Il Classico dei Mutamenti, nel corso del complesso periodo degli stati combattenti (VI-III a.C.) si mescola con gl’insegnamenti morali di Confucio e con le speculazioni filosofiche di Laozi e Zhuangzi, e, soprattutto, s’innerva di una struttura cosmologica che non abbandonerà mai, includendo al suo interno le nozioni fondamentali di Yin, Yang, qi, e delle Cinque Fasi.

È attraverso la reciproca influenza fra Yijing e la cosiddetta ‘scuola dei naturalisti’ che si passa da un modello di divinazione fondata sulla piromanzia ad una divinazione praticata con il conteggio degli steli di achillea millefoglie.

Il qi è una forma di energia che permea l’esistente, le cui polarità (Yin e Yang) manifestano stadi di cristallizzazione e fluidificazione correlate a processi dinamici di crescita e decadimento, ma anche a fenomeni ciclici come l’alternarsi delle stagioni o le fasi della vita. La polarità è descritta, nel Grande Commentario, attraverso una metafora fisica: le fasi di Yin e Yang corrisponderebbero al mutamento della luce nella tenebra — più precisamente Yang è il versante assolato di una montagna o il sole che spunta dalle nuvole, mentre Yin è il versante freddo e ombroso della stessa montagna, o il sole che si cela dietro una coltre di nubi. Questa polarità fisica assume, ben presto, la dimensione di una polarità sessuale (Yang = maschio, Yin = femmina) che si può applicare a qualsiasi fenomeno.

Prima che la dualità di Yin/Yang e l’idea di qi fossero unificati con il modello dinamico dell’Yijing, presso la dinastia Shang, vigeva un sistema cosmologico correlativo di tipo diverso. Tale sistema prevedeva una suddivisione dello spazio in quattro settori, correlati a quattro venti. Al centro di tale sistema (un centro architettonico, dato che la capitale era costruita secondo una tale ripartizione) era collocato il sovrano Shang, unico mediatore fra Cielo e Terra, detentore di un potere di sovranità personale. Fu con gli Zhou che la carica del sovrano diventò trasmissibile, attraverso il concetto di Mandato Celeste, il quale prevedeva che lo stesso Cielo decidesse chi fosse in grado di proiettare sulle vicende mondane il perfetto ordine divino.

Successivamente, presso gli Zhou, non esisteva ancora l’idea di un qi unificato, ma la compresenza di sei vapori, correlati ad armonie musicali, sapori e colori. A queste correlazioni si deve aggiunge quella fondamentale delle cinque fasi (acqua, fuoco, legno, metallo, terra). Verso il 250 a.C., le fasi, intese come proprietà occulte o schemi dinamici di trasformazione della materia, vennero legate ad un’unica forma di materia-energia, il qi.

Verso la fine degli Stati Combattenti, nel III-II secolo, l’alternanza dei due soffi primordiali Yin e Yang si trova combinata con i wuxing [le cinque fasi], percepiti come cinque fasi o porzioni di tempo (giornata, stagione, anno, dinastia) corrispondenti a quantità determinate che si succedono ciclicamente a dei punto di riferimento fissati nello spazio” (Anne Cheng, Storia del pensiero cinese)

Il modello correlativo delle cinque fasi si fonde con quello dello Yijing nella creazione di un sistema sincretico che avrà il suo sviluppo completo in epoca Han. Ci si ricorderà che gli esagrammi sono composti da sei linee, intere o spezzate, ma la loro composizione è determinata anche da due metà, dette trigrammi (gua). Questi trigrammi sono raffigurazioni minimaliste di fenomeni naturali (fuoco, terra, lago, cielo, acqua, montagna, tuono e vento). Ed è attraverso la trasformazione della tassonomia correlativa Shang (i quattro settori) nel modello analogico delle cinque fasi che si genera una vera e propria cosmologia omologica fatta di relazioni fra entità che provengono da un’unica fonte (il taji) e sono fatte di un’unica materia-energia, il qi.

Il Culmine supremo (taiji), genera i due modelli (yi). I due modelli generano le quattro figure (xiang), le quali generano gli otto trigrammi (gua). Questi determinano ciò che è fasto e il nefasto. La determinazione del fasto e del nefasto genera le grandi opere” (Yijing, Grande Commentario)

Yijing riemergeva in una società radicalmente diversa da quella in cui era stato concepito. Le sue parole non descrivevano più la mera quotidianità, né si limitavano a fornire un codice per le predizioni di una casta di sacerdoti: erano ormai divenute simboli, portatori di significati che si rivelavano a chi, con la giusta intenzione, ne intraprendeva lo studio” (Tiziano Mattei, Introduzione all’I Ching)

Il termine chiave del passaggio del Grande Commentario, taji, compare una sola volta nello Yijing, e vi compare sotto l’influenza del buddismo e dell’interpretazione neoconfuciana che ne ha sottolineato la centralità. In realtà, l’origine del Classico dei Mutamenti, essendo divinatoria, poco ha a che vedere con le infiltrazioni di una forma religiosa che postula un principio unico (e vuoto) come origine di tutte le cose. Nell’interpretazione filosofica di Jullien, il taiji rappresenta lo sfondo immanente da quale si generano i mutamenti — una generazione che implica uno strappo o una rottura originaria. Centrale, quindi, è la polarità di Yin/Yang e non la loro determinazione in quanto emanazioni dell’Uno. All’immanenza, intesa come principio originario e sfondo, succedono quindi le due polarità centrali dei mutamenti (yi) che determinano le figure (xiang). Per ‘figura’ in cinese non si intende qualcosa come una rappresentazione o una copia, ma una proprietà o virtù occulta, una specie di seme il cui germoglio produce le specie naturali. Infine, gli otto trigrammi sono, di nuovo, non tanto immagini di forme naturali, ma schemi di principi, così come i 64 esagrammi non determinano solo responsi oracolari, ma sono uno strumento per indagare lo stato della configurazione ambientale del qi.

L’antropologo William Matthews, nella sua ricerca etnografica sull’uso degli Yijing come strumento di divinazione colta e popolare nella Cina contemporanea, ha sottolineato un punto molto importante riguardo il tipo di conoscenza che questo meccanismo e questo testo veicolano. Nella divinazione arcaica di origine sciamanica, le figure ricavate dall’osservazione dei piastroni di tartaruga fornivano dei giudizi oracolari — inviati da spiriti e da antenati — che riguardavano la vita del sovrano, la quale coincideva con il destino del suo regno. Con la progressiva astrazione del senso originario, lo Yijing si viene a mescolare con speculazioni etiche e filosofiche intorno alla natura del bene, dell’azione efficace e della struttura della realtà. Tracce di questa progressiva (e incompleta) astrazione sono disseminate in tutto il Classico dei Mutamenti: se il fine iniziale era quello di stabilire un codice di comunicazione fra uno sciamano e un sovrano, l’esito della versione ‘definitiva’ del testo è quello di educare un anonimo saggio al raggiungimento di una vita perfetta attraverso l’esecuzione di un agire sempre efficace. Così, nelle Dici Ali, troviamo riferimenti sia all’antica prassi divinatoria (come, ad esempio, correlazioni fra sorte ed eventi metereologici) sia alla dimensione etica e strategica (il saggio agirà in conformità col dao). Il taoismo si mescolerà con gli Yijing nella dialettica fra mutazioni continue del qi — agire secondo il dao, la giusta via, significa, per dirlo con un sostantivo prelevato dall’etica aristotelica, soppesare con saggezza e prudenza ogni situazione.

La principale differenza fra la molteplicità dei vari sistemi divinatori adottati dalla specie umana (dall’ornitomanzia etrusca all’astrologia babilonese, dalla geomanzia alla chiromanzia, dai tarocchi ai mantici greci) risiede nella prassi di una continua reinterpretazione e stratificazione che si è depositata nella storia millenaria di commentari e riaggiustamenti. Da un punto di vista antropologico, i meccanismi divinatori sono un esempio di ‘distacco ostensivo’, ovvero sono meccanismi che gli individui di un determinato gruppo umano applicano per ottenere delle informazioni il più possibile accurate. Un classico esempio di distacco ostensivo è l’applicazione di una componente casuale nell’operazione di divinazione: il rimescolamento dei tarocchi o il lancio delle monete nell’uso contemporaneo dello Yijing.

L’unicità dello Yijing risiede nel fatto che, alla base della cultura cosmologica cinese, non vi è una serie di testi cosmogonici (com’è il caso dell’ebraismo), né una riflessione metafisica (com’è il caso dei naturalisti presocratici), ma la conflagrazione di diverse spiegazioni che hanno trovato nel mutamento degli esagrammi una base unificata per descrivere la struttura stessa della realtà.

Le speculazioni filosofiche del Grande Commentario sono l’esito di una cosmologia omologica, ovvero di una struttura percettiva e culturale che vede nella realtà l’azione di una polarità dinamica continua, che si cristallizza e si fluidifica, che determina successi e sconfitte, malattia e salute, ascese e declini. È stato osservato che la speculazione cosmologica dell’Yijing rassomigli alle teorie naturaliste di pensatori come Empedocle, o di modelli metafisici come l’ermetismo rinascimentale. Tuttavia, è necessario sottolineare come, da un punto di vista cognitivo, e quindi naturalizzato, è ben evidente la presenza di modelli mentali di fisica ‘vernacolare’, ovvero strutture intuitive che interpretano i fenomeni naturali secondo una serie d’inferenze inconsce. Quando queste intuizioni diventano riflessive, ovvero quando si costruiscono dei modelli mitici o speculativi attorno a intuizioni come forza, azione e reazione, analogia fra specie e polarità, l’unicità del cervello si fraziona in una disseminazione di modelli ontologici geograficamente confinati. Da un punto di vista antropologico, l’immagine scientifica del mondo è fondata su una grande partizione: quella fra natura e cultura. I fenomeni naturali, in questo modello, sono manifestazioni di leggi fisiche soggiacenti, che vengono studiante mediante l’ideazione di modelli e mediante la controprova degli esperimenti.

Il modello cosmologico dell’Yijing descrive la realtà come composta di un’unica forma — la materia-energia del qi, la quale assume le configurazioni mutevoli dei trigrammi e degli esagrammi.

La nozione di un cosmo monogenetico solleva la possibilità logica di poter manipolare il cosmo in base alla comprensione dei suoi principi unificanti […] Ne consegue che il comportamento di un tale cosmo può essere previsto sulla base di questa conoscenza. Si apre così la possibilità di metodi di previsione cosmologicamente informati che non richiedono più la comunicazione con antenati, spiriti o divinità per ottenere previsioni, eliminando così il rischio teorico di inganno da parte di esseri dotati di un accesso privilegiato alla conoscenza” (William Matthews, Cosmic coherence)

Nella prassi divinatoria contemporanea, sia essa fondata su basi puramente tradizionali (cioè quelle del testo dell’Yijing e dei commentari) sia scientificamente informata, si assume che trigrammi ed esagrammi siano generi naturali, manifestazioni di diverse configurazioni del qi che si ritrovano a scale diverse. Questa cosmologia vede il suo approfondimento spaziale nella nozione di feng shui che unifica i trigrammi dell’Yijing alle cinque fasi, a loro volta correlate con colori, proprietà, punti cardinali, principi astrologici e fasi storiche. Il feng shui rappresenta la quintessenza del modello cosmologico, che, a differenza di strutture correlative analogiche come quella dei quattro elementi o dei quattro umori, possiede una mutevolezza a livello di scala. Questo significa che non c’è una relazione diretta fra un elemento, una direzione o un colore e un genere naturale (natural kind), intesa nel significato scientifico, ma i generi naturali sono le figure e le fasi. Questa differenza sostanziale produce una riproposizione frattale degli stessi schemi a scale diverse: una pianta o un animale possono essere caratterizzati da alcune proprietà, mentre i loro organi o le loro parti da altre.

Un esempio paradigmatico di ontologia omologica è l’impiego di acquari nel feng shui. Secondo questo modello geomantico, gli acquari contengono pesci in diverso numero e di diverse specie. La parola pesce è, in cinese, omofona alla parola abbondanza. Un acquario è considerato come un microcosmo, che deve riflettere, attraverso colori, specie e numero di pesci presi dal modello cosmologico che abbiamo presentato più in alto: dall’uno al due, dal due al quattro, dal quattro all’otto e dall’otto a tutti gli esseri. Per essere corretto un acquario dovrebbe contenere: uno Scleropages formosus (pesce drago) dorato, correlato col taiji, due pesci-drago rossi, correlati alla polarità yin/yang, quattro esemplari di Hypostomus plecostomus (correlati con le due forme dello yin/yang, giovane e vecchio) e infine otto pesci legati agli otto trigrammi, a loro volta correlati con i dati astrologici del proprietario.

L’analogia si riferisce alla somiglianza tra due lignaggi non imparentati, guidata dalla convergenza funzionale (come le ali di un uccello e di una farfalla, non imparentate e sviluppate da processi ontogenetici distinti, ma funzionalmente simili). L’omologia, al contrario, si riferisce a caratteristiche derivate da un tratto originale comune, come le ali di due diverse specie di uccelli […] l’acquario può servire come analogo del cosmo nel suo ruolo di dispositivo concettuale cosmologico, ma la sua efficacia nel promuovere la fortuna è il risultato del suo essere un omologo, non di una convergenza di due livelli ontologicamente distinti (acquario e cosmo) basata sulla ricerca di un’apparente somiglianza […] ma all’inverso: la ricorrenza di particolari configurazioni della stessa sostanza comune a scale diversificate per gradazione ma non per natura” (William Matthews, Cosmic coherence)

La differenza fra una connessione analogica e una omologica, quindi, risiede in una diversa ontologia: la prima mette assieme in catene analogiche una serie di organismi, astri, oggetti, colori, scansioni spaziali e temporali, mentre la seconda postula un’unità originaria, dal quale si ramificano tutte le differenze. Dal punto di vista logico e cognitivo, è quindi difficile asserire che la cosmologia del qi implichi un errore del tipo post hoc ergo propter hoc, ovvero una confusione di causazione e correlazione, perché tutto ciò che esiste e muta è una derivazione di configurazioni metastabili della stessa fonte energetica originaria.

La cosmologia omologica assumerà, nella storia del pensiero scientifico cinese, un rapporto molto diverso da quanto è avvenuto nello sviluppo della scienza europea. Dal XVII secolo in poi, infatti, il modello analogico delle relazioni fra microcosmo e macrocosmo lascerà il posto ad una concezione meccanicistica e aleatoria: tutti gli enti del cosmo dovranno essere sussunti da relazioni misurabili di azione e reazione, gravità e successivamente dai campi elettromagnetici. Questo significa produrre un taglio con il precedente sistema del sapere, che procedeva, dai tempi dell’astronomia babilonese, attraverso varie modulazioni di analogia fra entità di specie diverse.

Attualmente tale cesura non è ben definita nel pensiero cinese, nemmeno in quello scientifico. Chi pratica la divinazione, infatti, rimodula, a seconda delle sue conoscenze e della sua educazione, la cosmologia omologica con quello che conosce rispetto alla scienza di matrice occidentale. Capita così che il qi si sovrapponga all’idea relativistica di equivalenza fra materia ed energia — questo perché il gesto originario di Fuxi, ovvero l’osservazione di pattern astronomici, fisici, storici e biologici, non viene refutato, ma aggiornato a seconda delle teorie fisiche e psicologiche di riferimento.

Tutto lascia pensare che, in ogni caso, che i sacerdoti-sciamani specialisti svolgessero un meticoloso lavoro di analisi e studi dei casi a posteriori, con verifiche, catalogazioni e organizzazione sistematica del materiale oracolare. La presenza del numerale bagua potrebbe indicare che un collegamento si andava stabilendo tra le due pratiche: la divinazione con fasci di steli prevedeva infatti un conteggio e delle operazioni matematiche che davano luogo a numeri. È verosimile che fu questa graduale sovrapposizione a portare a una semplificazione dei codici numerici, limitando il campo dei valori utilizzati ai soli numeri da 6 a 9 e considerando infine l’informazione nei segni che ci sono familiari; una linea per i numeri dispari, una spezzata per i numeri pari, impilate insieme in gruppi di sei” (Tiziano Mattei, Introduzione all’I Ching)

Ma come funziona una sessione di divinazione contemporanea che utilizza gli Yijing? In modo non dissimile da quanto avveniva in una seduta sciamanica, il consultato deve svuotare cuore e mente da pensieri ed emozioni. In seguito, deve contemplare il bisogno da cui nasce la domanda. Infine, deve formulare con chiarezza un quesito preciso. Oggi il metodo di divinazione più diffuso prevede l’utilizzo di tre monete, che simbolicamente rinviano alla polarità Cielo-Terra, perché sono rotonde (Cielo) con un foro quadrato (Terra). Ogni moneta ha una testa e una croce che vengono fatte corrispondere ai numeri 2 e 3. Questi numeri si legano alla configurazione delle linee yang e yin. Il lancio delle tre monete dà quindi lungo a un numero che va da 6 a 9.

6 = 2 + 2 + 2 = yin vecchio

7 = 2 + 2 + 3 = yang giovane

8 = 2 + 3 + 3 = yin giovane

9 = 3 + 3 + 3 = yang vecchio

L’alternanza di giovane e vecchio è ciò che nel Grande Commentario segnala la fase di passaggio dalla polarità originaria alle quattro figure. Per giovane e vecchio s’intendono i due stadi possibili delle strutturazioni di yin e yang, i quali corrispondono ad una situazione ‘stabile’ e a una ‘mutevole’.

La produzione di un esagramma avviene dal basso verso l’alto, attraverso il lancio delle monete e il computo del risultato.

Il meccanismo di maturazione e mutazione delle linee, infatti, si manifesta soltanto a livello dell’esagramma: durante una consultazione, ciascuna delle sei linee può essere rilevata come giovane o come vecchia, e in questo secondo caso la sua polarità è in procinto di mutare in quella opposta. Una consultazione dell’Yijing genera perciò spesso due esagrammi; il responso complessivo, che consiste nella mutazione del primo esagramma nel secondo, fornisce un quadro dinamico in cui sono visibili le linee di forza e le tendenze di movimento indicate dalle singole linee” (Tiziano Mattei, Introduzione all’I Ching)

La struttura di un esagramma, ricordiamo, è un armatura fissa che comprende sei linee, intere o spezzate. In totale, lo Yijing contiene 384 tratti, di cui una metà sono yin e l’altra sono yang. Ogni esagramma è correlato, seguendo i commenti delle Ali, ad un nome, una sentenza, una descrizione dell’immagine, ed una descrizione della funzione dei singoli tratti, dal basso verso l’alto. Nei commentari è anche inserita la relazione fra l’esagramma e gli otto trigrammi, intesi come simboli o schemi di forze naturali che li compongono.

I commenti descrivono l’ascensione dei singoli tratti come la maturazione di una situazione, che indica una progressione cronologica o strutturale da un prima a un dopo.

Prese a gruppi di due, dal basso verso l’alto, le linee rappresentano la successione di Terra, Uomo e Cielo. Prese come singole linee, i tratti chiusi o aperti di un esagramma rinviano alla forma delle relazioni interindividuali e ai rapporti di potere.

VI: saggio, consigliere, oppure folle

V: centro del governo o sovrano

IV: mediazione fra l’alto e il basso, ministro del sovrano

III: duca o leader minore, posizione di ascesa sociale

II: centro amministrativo

I: popolo senza potere

Dopo il 136 a.C., con la canonizzazione dell’Yijing come classico e la fissazione del testo definitivo, si produsse una divisione fra le scuole d’interpretazione: una strettamente confuciana (Scuola del Testo Nuovo), che tendeva a santificare il Confucio ed era vicina alle posizioni imperiali, ed una apocrifa, che vedeva nel maestro un semplice saggio (Scuola del Testo Antico). L’interpretazione confuciana approfondiva i legami fra il Classico dei Mutamenti, la numerologia e la costruzione di un sistema di analogie fra esagrammi, strutture sociali e mondo naturale. Successivamente, nell’epoca dei Song del Nord (960–1127), la scuola confuciana prese il nome di Scuola delle Immagini e dei Numeri, alla quale si contrapponeva la Scuola dei Significati e dei Principi. Mentre la prima trattava gli esagrammi come strumenti numerologici e quindi considerava il testo come un vasto repertorio di combinazioni possibili, la seconda si concentrava sul senso personale ed etico dei singoli esagrammi.

Con la crisi della dinastia Han, l’importanza delle due scuole inizia a decadere, ma un giovane studioso, Wang Bi (226–249 d.C.), redige uno dei commentari più importanti del Classico dei Mutamenti. Egli concepisce il testo non più come un manuale per la divinazione, né come un trattato numerologico, ma come uno schema dell’universo. Per Wang Bi, il concetto di taiji, che, come abbiamo visto, entra molto tardi nella cronologia dell’Yijing attraverso la mediazione con il buddhismo e le filosofie indiane, diventa centrale: esso è il vuoto o l’indifferenziato dal quale traggono origine tutte le cose (i diecimila esseri). Wang Bi applica la filosofia del linguaggio taoista al testo dei Mutamenti, andando così a prediligere l’aspetto indicibile a quello manifesto. Per i taoisti come Laozi o Zhuangzi, il linguaggio è sempre in difetto rispetto alla realtà, poiché cerca di tagliare con nomi ciò che permane nell’indifferenziato.

Mentre nel Grande Commentario le sentenze esplicano le figure che sono gli esagrammi e che, a loro volta, manifestano il significato soggiacente lasciato dai saggi, Wang Bi tenta di spingere oltre la sua riflessione, mutando dal Zhuangzi il tema dell’oblio del discorso: è tramite successivi “oblii” (prima del discorso, poi delle immagini) che si accede al significato” (Anne Cheng, Storia del pensiero cinese)

Un interprete che ci interessa particolarmente è Shao Yong (1012–1077 d.C.), un eremita taoista che correda il Classico dei Mutamenti di una serie di raffigurazioni schematiche e di una interessante riflessione numerologica e storiografica, che riscuoterà interesse nella traduzione europea del trattato cinese, attraverso la mediazione prima dei Gesuiti e poi del filosofo tedesco Gottfried Leibniz. Anche Shao Yong, come già Wang Bi prima, si focalizza sul passaggio già menzionato del Grande Commentario — dall’uno al due, dal due al quattro, dal quattro all’otto e dall’otto al sessantaquattro.

“[Shao Yong] visualizzò la suddivisione successiva delle polarità attraverso sei “livelli”, ciascuno generato dallo sdoppiamento del precedente; questo procedimento dava luogo alla sequenza dei sessantaquattro esagrammi ordinati secondo un criterio matematico rigoroso, che è possibile affiancare alla serie di numeri da 0 a 63 espressi in codice binario: per la prima volta era stata formalizzata la struttura soggiacente alla generazione dei diagrammi lineari e se ne poteva cogliere la perfezione formale con un colpo d’occhio” (Tiziano Mattei, Introduzione all’I Ching)

Nel periodo Song (960–1279) il testo dell’Yijing veniva lentamente trasposto da una forma a rotolo alla forma-libro, suddivisa in capitoli e corredata da xilografie. Shao Yong apparteneva alla Scuola delle Immagini e dei Numeri, e, come tale, era interessato alle componenti numerologiche del Classico.

Shao Yong è noto soprattutto per un trattato storico (Traversata dei secoli dell’Augusto Culmine), un testo che ricapitola le vicende della Cina alla luce delle figure dei Mutamenti. Shao Yong attribuisce ai numeri una funzione metafisica, e concepisce l’Uno (il taiji) come assenza di movimento, mentre il due come principio del mutamento e del moto. I numeri intervengono nel passaggio dall’immobile principio primo alla dualità di Yin/Yang, e determinano le figure (ovvero trigrammi ed esagrammi): gli oggetti concreti sono invece lo stadio ulteriore. È evidente, anche da questa breve sintesi, che il pensiero di Shao Yong risuona con il nostro pitagorismo, poiché i numeri sono concepiti come natural kinds, forme archetipiche o specie naturali dalle quali le entità materiali dipendono.

Nella cosmologia di Shao Yong sono concepiti tre piani della realtà: alla base ci sono gli oggetti percepibili attraverso i sensi, segue la rappresentazione ‘spirituale’ mediante figure e numeri (da cui la centralità del Classico dei Mutamenti), e infine c’è una conoscenza suprema che coincide con la santità del saggio.

Per Shao Yong è possibile, inoltre, distinguere fra una ‘conoscenza anteriore al Cielo’ ed una ‘posteriore al Cielo’. Tale dualità si presenta sia come struttura storica e cosmologica: da un prima caotico a un poi ordinato, da un prima naturale a un dopo culturale, e come simultanea, in quanto rapporto fra le categorie (ovvero figure e numeri) e realtà.

Utilizzando il testo dell’Yijing assieme a quello di un altro manuale di divinazione, lo Taixuanjing (Libro del Mistero Supremo), basato su un sistema di 81 tetragrammi composti da 3 tipi di linee (intera per il Cielo, spezzata per la Terra e doppiamente spezzata per l’Uomo), Shao Yong concepisce un vasto sistema di analogie, correlazioni e omologie fondate sulla ripetizione del numero quattro.

Shao rappresentava molti fenomeni in gruppi di quattro. Il cielo aveva quattro stagioni, la terra quattro direzioni e le persone quattro arti. Egli individuava correlazioni con le quattro virtù (benevolenza, correttezza, rettitudine e saggezza) e i quattro tipi di governo: formare magicamente il popolo, educarlo, adattarlo e guidarlo. Questi rappresentavano la crescita e il graduale declino della capacità del popolo di essere governato e della capacità del governante di governare. Allo stesso modo, i cambiamenti naturali passavano per quattro fasi: nascita, crescita, maturità e morte. Allo stesso modo, Shao seguiva i concetti del tempo indiano e istituì un ciclo cosmico (yuan) diviso in quattro sotto-cicli di graduale decadimento cosmico” (James Ryan, Leibniz’ Binary System and Shao Yong’s Yijing)

Per Shao Yong, che concepisce i numeri come categorie e non come mezzi di quantificazione, ciò che importa è elaborare modelli analogici per render conto del mutamento piuttosto che verificarne l’adeguatezza alla realtà” (Anne Cheng, Storia del pensiero cinese)

L’importanza di Shao Yong per la traduzione degl’Yijing dalla cultura cinese a quella europea risiede non tanto nel suo modello cosmologico e storiografico, ma piuttosto nell’attribuzione di alcuni diagrammi che transiterebbero al gesuita che per primo tentò di tradurre il Classico dei Mutamenti in latino e alla sua corrispondenza con Leibniz, Joachim Bouvet. Ed è in questa triangolazione che la questione storica diventa complessa da decifrare, perché la nostra ricerca si concentra sulla relazione fra Leibniz, l’Yijing e la notazione binaria.

Shao e Leibniz condividevano l’idea che il cosmo fosse stato creato secondo il sistema binario, che si riflette in tutte le cose e può essere scoperto dagli esseri umani. L’uso del diagramma da parte di Shao assomigliava ad alcuni temi fondamentali della filosofia della scienza di Leibniz. Tuttavia, Shao non spinse il suo diagramma verso un sistema numerico scientifico, poiché riteneva che il pensiero rigorosamente scientifico fosse perniciosamente dualista e spiritualmente dannoso” (James Ryan, Leibniz’ Binary System and Shao Yong’s Yijing)

La prima questione da porsi è: Shao Yong aveva veramente estrapolato dalle figure del Classico dei Mutamenti la notazione binaria inventata da Leibniz nel XVII secolo? Soppesando le varie fonti, è possibile dare una risposta provvisoria: lo studioso cinese aveva sviluppato un particolare interesse per la numerologia — non solo quella degli Yijing, ma anche di altri diagrammi (dei quadrati magici) propri della tradizione cinese antica. Il diagramma che dispone in una serie circolare e quadrata crescente gli esagrammi del Classico dei Mutamenti è, in effetti, attribuito a Shao Yong, anche se non si capisce bene se l’ideatore sia lui o fonti più antiche. Il problema, inoltre, risiede nel fatto che tale diagramma, nei testi cinesi che lo riportano, viene fatto rimontare sino all’eroe culturale Fuxi, e questo per giustificare una speculazione non allineata con l’ideologia dell’epoca.

In primo luogo, i numeri utilizzati da Shao Yong in tutti i suoi calcoli erano basati sul sistema decimale, così come quelli di ogni altro commentatore dei Mutamenti fino all’epoca di Bouvet. In secondo luogo, Shao era chiaramente più interessato alle spiegazioni metafisiche correlative e alle analogie tra corpi e processi naturali piuttosto che alla struttura binaria [dell’Yijing]” (Richard Smith, The «I Ching» : a biography)

Apparentemente Shao Yong non scopre nessun codice binario all’interno dell’Yijing, ma si diletta nella compilazione di sistemi correlativi, basati sia sugli esagrammi che su altri modelli combinatori precedenti. Il suo saggio storico applica la progressione dei tratti yin o yang ad una cronologia composta da 129.600 anni.

Nel Diagramma vediamo lo yin e lo yang alternativamente fiorire e declinare, proprio come vediamo gli uni sostituire gradualmente agli zeri nel sistema numerico binario. Poiché l’ordine nel Diagramma emerge dall’assunto di base che la creazione è guidata dallo yin e dallo yang, la struttura del sorgere e del tramontare di tutte le cose è determinata da questa creazione. Pertanto, questa struttura è conoscibile a priori […] Inoltre, anche se Shao era un adepto dell’aritmetica, non riconobbe mai i quadrati e i cubi della serie. Il punto è che Shao vedeva la serie come un importante indizio cosmologico, piuttosto che ricavare gli esagrammi per mero calcolo, attraverso una divisione ripetuta meccanicamente” (James Ryan, Leibniz’ Binary System and Shao Yong’s Yijing)

Nella compitazione del suo modello di numerologia storiografica Shao Yong compie degli errori, poiché si basa su un modello astronomico aprioristico, fondato su un anno composto da 360 giorni. La conflagrazione fra inferenze analogiche a posteriori e teoria numerologica a propri nel pensiero di Shao Yong esibisce la discrepanza fra i vari piani realtà postulati dal pensatore cinese: gli Yijing, con le loro figure e i loro numeri non servono a produrre prove sperimentali, ma a concepire un vasto arazzo storico-cosmologico che serve da via per l’uomo saggio. E tuttavia, queste analogie e correlazioni non sono nemmeno il fine ultimo del sapiente, poiché egli può concepire una realtà che va aldilà dei numeri e delle figure.

Per capire come l’Yijing si sia trasformato nella notazione binaria dobbiamo ripercorrere le ricerche di Claudia von Collani sul rapporto fra la ricezione gesuitica dei Mutamenti e le personali elaborazioni di Leibniz e di Bouvet intorno al pensiero cinese.

Il rapporto fra la Cina e l’Europa, a partire dal ‘600, era quello di una potenza politica e religiosa interessata a convertire un continente (ancora) abbastanza sconosciuto, che però presentava caratteri di sviluppo culturale, politico e tecnologico molto pronunciati. Un problema particolarmente rilevante di conflitto culturale aveva colpito i Gesuiti: la diversa natura del modello cosmologico e storico che testi come gli Yijing presentavano agli occhi di un osservatore cristiano. La cosmologia cinese, come abbiamo visto, attribuiva particolare interesse al taiji, concetto non originario del Classico dei Mutamenti, che invece rinviava alle speculazioni induiste e buddiste inerenti al ‘vuoto principio di tutte le cose’. E tuttavia, tanto bastava per contraddire la cosmologia cristiana della creazione ex nihilo, dato che, la ‘creazione’, per com’è descritta nel Classico dei Mutamenti, non avviene per volere di un’Entità, ma per manifestazione di emanazioni simbolico-numeriche a partire da uno sfondo indifferenziato.

Joachim Bouvet (1656–1730) era un gesuita francese inviato da Luigi XIV in Cina all’epoca dell’Imperatore Kangxi (1662–1722). Bouvet appartiene ad una corrente di pensiero denominata ‘figurismo’, che concepiva il testo dell’Antico Testamento come un sistema crittografico che rinviava al Nuovo Testamento. Questo significava interpretare passaggi biblici come riferimenti occulti ad eventi verificatisi successivamente nel Vangelo, ma, in una prospettiva interculturale, indicava anche la pratica ermeneutica e antropologica di traduzione di nozioni indigene con concetti cristiani. Nel caso specifico del contesto neoconfuciano col quale i gesuiti avevano a che fare, significava principalmente tradurre figure di spicco della storia del pensiero cinese in patriarchi dell’Antico Testamento.

Bouvet era un esperto di Quabbalah, Pitagorismo, filosofia Neoplatonica e geroglifici egizi, nonché informato sulle ultime ricerche della matematica e della fisica. Verso la fine del ‘600 Bouvet inizia ad interessarsi all’Yijing. Alcuni suoi colleghi consideravano questo testo come un’espressione della superstizione cinese, mentre Bouvet ci vedeva qualcosa di più significativo. C’è da aggiungere che, nel periodo in cui Bouvet viene in contatto con il Classico dei Mutamenti, era già considerata una pratica sconsigliata l’occuparsi di tale testo, proprio per le evidenti contraddizioni che implicava rispetto al modello della cosmologia biblica.

Negli anni 1697–1707 Bouvet ha una fitta corrispondenza con Leibniz, e, nel 1701, arriva comparare la struttura simbolica dell’Yijing con la notazione binaria recentemente introdotta dal filosofo tedesco (prima del 1679). Oltre a ciò, Bouvet associa Fuxi al patriarca biblico Enoch, interpretando quindi il Classico dei Mutamenti come un frammento dell’Apocalisse di Enoch, altrove invece lo compara con l’autore del Corpus Hermeticum, Ermete Trismegisto. Leibniz infine pubblica un articolo presso L’accademia francese delle scienze nel 1703 sul suo sistema binario e interrompe provvisoriamente il suo studio del Classico cinese.

Lo schema che Bouvet manda a Leibniz è quello di Shao Yong, che, diversamente dalla disposizione originaria degli esagrammi secondo il testo classico (si tratta di un ordine lessicografico) rappresenta in un diagramma il crescere e il decrescere di yin/yang secondo un modello di divisione binaria ripetuto.

L’incisione rappresentava la disposizione degli esagrammi in modo diverso dall’Yijing, ma questo errore permise a Leibniz di vedere […] in questi esagrammi la perfetta rappresentazione della progressione dei numeri binari che infatti si scrivono secondo la sequenza 000, 001, 010, 110, 101, 011, 111… In fondo, e ancora un volta, Leibniz svuota i simboli cinesi dai significati che altre interpretazioni vi avevano assegnato, per considerare solo la loro forma e la loro capacità combinatoria. Siamo di nuovo di fronte a una celebrazione del pensiero cieco, ad un riconoscimento della forma sintattica come veicolo di verità. Questi 1 e questi 0 sono veramente simboli ciechi e la loro sintassi funziona, e permette scoperte prima che ogni possibile significato venga assegnato alle stringhe che produce” (Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta)

Risulta chiaro, ad un osservazione dei diagrammi inviati da Bouvet a Leibniz che il codice binario sia prodotto attraverso una conversione numerica degli otto trigrammi, disposti in un ordine crescente da 0 a 7.

L’interesse di Leibniz per l’Yijing faceva parte di un processo di ampia portata volto a trovare dei punti in comune fra vari sistemi linguistici e metafisici. La sua idea era quella di trovare il modo d’ideare un linguaggio universale in grado di superare le differenze culturali e ontologiche fra le culture. Un linguaggio puramente sintattico, da ricercare per via negativa, che avrebbe dovuto prescindere da ogni particolarismo e da ogni connotazione simbolica.

Nella corrispondenza con Bouvet è evidente che Leibniz oltrepassi le stratificazioni ermeneutiche del testo cinese, prova ne è il fatto che, nella sua lettura, si inizia a contare dall’alto, mentre nella classica divinazione, come abbiamo visto, si parte dal basso. Bouvet, seguendo l’interpretazione di Leibniz dei diagrammi attribuiti da Shao Yong crede quindi di aver trovato una clavis sinica, ovvero una sorta di codice crittografico indice di un’arcaica conoscenza matematica e metafisica che i cinesi avevano dimenticato. Nell’interpretazione di Leibniz, inoltre, la struttura cosmologica dell’Yijing poteva consentire un sistema metafisico che oltrepassava il meccanismo cartesiano, poiché si basava su un principio di creazione ex nihilo espresso come forza — facendo conflagrare la nozione confuciana di principio (li) con la sua idea di monade.

E, tuttavia, tornando alla comparazione fra la ‘metafisica’ di Yong e quella di Leibniz, è facile vedere come ci sia una notevole differenza fra i due modelli. In primo luogo, non c’è nessuna clavis sinica rivelata nei diagrammi di Yong — in altre parole, è solo per effetto del caso che Leibniz viene a contatto col il testo cinese dopo aver inventato la notazione binaria. In secondo luogo, Leibniz attribuisce un diverso valore alla scienza sperimentale, e, per quanto sia affascinato da forme di pensiero correlativo — non dimentichiamoci che il sapere ermetico del neoplatonismo e dell’ermetismo era molto diffuso nel ‘600 — il suo modello di scienza non era puramente a priori o analogico ma si voleva anche empirista.

Nel concepire il rapporto fra conoscenza a priori (razionalista) e a posteriori (empirista), Leibniz arriva a sostenere che l’intelletto umano, essendo finito, possa solo congetturare una corrispondenza fra leggi naturali e fenomeni — in particolare leggi semplici in grado di spiegare fenomeni complessi, seguendo un’ideale occamistico di eleganza ed economia. Le congetture a priori implicano un ragionamento induttivo che perviene ad una certezza morale, non deduttiva. Solo Dio potrebbe, a priori, conoscere a partire da poche leggi certe tutto lo svolgimento dell’universo. La matematica è il giunto fra i due tipi di conoscenza, perché è applicata sia nelle leggi (a priori) che negli esperimenti e nelle verifiche (a posteri). Da qui l’idea di ideare una lingua puramente matematica che sia in grado di liberare il pensiero dalla vaghezza e dalla scorrettezza del linguaggio.

Per Leibniz, dal momento che ogni cosa o evento ha una ragione sufficiente (una spiegazione completa delle cause da cui deriva la sua esistenza), le proposizioni contingenti sono conoscibili a priori da chiunque abbia una conoscenza intuitiva delle nozioni primitive che spiegano le cose. A un certo punto Leibniz ritenne che un genio potesse in linea di principio dedurre le verità della scienza a priori, come il principio di non contraddizione e la natura delle perfezioni di Dio (le ragioni ultime di tutte le cose). Ma alla fine arrivò a credere che un’analisi di questo tipo richiedesse un numero infinito di passaggi, impossibile da portare a termine dagli esseri finiti. Leibniz concluse che solo Dio potrebbe vedere l’intera infinità dei passaggi in un unico sguardo” (James Ryan, Leibniz’ Binary System and Shao Yong’s Yijing)

“[…] il concetto stesso di “caso” è assente dal pensiero cinese, per la mentalità sottesa all’Yijing, si tratta in realtà di un calcolo basato sulla “qualità del momento” presente, che occorre considerare nel suo complesso comprendendo in esso non solo il consultante, con la sua realtà esteriore e interiore e la domanda posta, ma anche la caduta delle monete o l’atto di suddivisione degli steli: partecipando della sua medesima qualità, la procedura non può che dare un risultato numerico che corrisponda per analogia al momento presente […] dal nostro punto di vista, rivolgersi ad un oracolo significa accettare la casualità, accordare una possibilità a qualcosa che riteniamo irrazionale […] chiede a noi di abbandonare per un momento il rigore della logica per abbracciare le possibilità del simbolo e dell’analogia” (Tiziano Mattei, Introduzione all’I Ching)

Leibniz non concepiva però la ricerca delle prove sperimentali come un processo interamente empirico, anzi, quando redige la sua Dissertatio de arte combinatoria nel 1666, (di cui parleremo più aventi) immagina che il lavoro d’induzione sperimentale sia semplificabile in una sorta di calcolo combinatorio e puramente meccanico a partire da elementi primitivi. Il problema, come vedremo in seguito, è come decidere e come trovare questi primitivi. L’invenzione della notazione binaria e la scoperta degli Yijing avevano una certa fascinazione per quella parte del pensiero di Leibniz che si muoveva seguendo le analogie. D’altronde,, il sistema di notazione binario sembrava essere il più semplice concepibile — e quindi, apparentemente, il più perfetto — che procedeva dalla composizione di strutture sempre più complesse composte dai concetti primari di Dio e Nulla.

La principale somiglianza fra il pensiero di Leibniz e quello cinese antico sta nell’essenza del principio di ragione sufficiente — che nulla avvenga senza una causa — la principale differenza invece sta nella natura della serie di cause. Mentre Shao Yong assume che le figure e i numeri siano natural kinds primitivi, e, da questi seguita a costruire rapporti analogici fra quantità numeriche e fenomeni naturali e storici, Leibniz riflette tutta la vita sul problema di come determinare scientificamente dei primitivi, non fermandosi alle ‘qualità occulte’ che la tradizione della combinatoria lulliana gli presentava (ad es., i quattro elementi). Inoltre, a differenza di Leibniz, Shao Yong concepisce la conoscenza completa delle cause come qualcosa di raggiungibile attraverso l’intuizione, la meditazione e la purificazione dello sguardo. Seguendo precetti taoisti e buddisti, egli vede l’intuizione come un’inversione gnoseologica, che sposta lo sguardo dall’ego al mondo, eliminando le imperfezioni che le percezioni e le passioni incidono nello specchio dell’anima. Infine, Leibniz concepiva la storia come una freccia orientata al progresso e al perfezionamento, mentre Shao Yong come un ciclo dettato dall’alternanza di fasi di ascesa e declino.

Di mentalità più simile a quella di Shao Yong è padre Bouvet, che, dopo l’episodio epistolare con Leibniz e nonostante i crescenti inviti da parte dei suoi superiori ad abbandonare le ricerche delle superstizioni cinesi, continua imperterrito il suo studio del Classico dei Mutamenti. Nel frattempo, in Cina erano stati pubblicati nuovi commentari dell’Yijing, i quali negavano l’arcaicità dei diagrammi di Shao Yong. Bouvet collabora ad un’edizione cinese del Classico dei Mutamenti e discute con i letterati e con l’imperatore di religione, numerologia e filosofia.

I principali problemi che Bouvet aveva con i suoi superiori riguardavano dei punti di contrasto fra il pensiero cinese e la dottrina cristiana: l’età della Terra, ad esempio, o la possibilità di prevedere il futuro o di calcolare il momento della fine dei tempi. Seguendo speculazioni simili a quelle di Shao Yong, anche Bouvet aveva provato a calcolare la cronologia passata e futura seguendo l’Yijing e aveva parlato di queste scoperte con l’imperatore che era chiaramente interessato a possedere tali dati. Nell’aiutare il letterato che stava compilando una riedizione ‘ufficiale’ dei Mutamenti col beneplacito dell’imperatore, Bouvet aveva inserito alcune nozioni di combinatoria ricavate dalla sua educazione scientifica come il triangolo di Pascal, e idee cristiane come quella di peccato originale.

Il contenuto della ‘parafrasi’ dell’Yijing prodotta da Bouvet (Idea generalis doctrinae libri ye kim) — di fatto il primo tentativo sistematico di traduzione — si presenta con una considerazione cosmologica: i Mutamenti rivelano che la terra ha avuto tre età (età dell’Oro, del ferro e tempo escatologico). I Mutamenti sono per il padre gesuita un sistema filosofico iscritto in una lingua simbolica di origine antichissima, come i geroglifici. Ma, in modo più simile alla scrittura egizia, gli Yijing narrano la creazione attraverso numeri e figure, come la cabala ebraica con le sue dieci Sephirot.

L’approccio correlativo, ermetico, pitagorico e figurista di Bouvet verrà in seguito abbandonato dai missionari cristiani, che produrranno molto più tardi una traduzione dei Mutamenti nel 1723. La successiva storia della propagazione dell’Yijing in Europa — dopo la sua diffusione in Giappone, Corea e Vietnam, avrà un suo apice negli anni 20’ del ‘900, periodo in cui il missionario Richard Wilhelm redigerà una versione del testo destinata ad avere una diffusione globale, sia per le sue peculiari caratteristiche sia per l’interesse di Jung per il classico cinese. Wilhelm presenta il Classico dei Mutamenti come una fonte di saggezza universale, anche se non commette le imprecisioni storiche di Bouvet, evitando quindi di connettere elementi, concetti e figure cinesi con le loro controparti nella cultura europea.

La traduzione di Wilhelm, che ancora oggi resta una delle più diffuse, è caratterizzata da una coloritura neoconfuciana, che rappresentava i valori di una società patriarcale e moralisticamente conservatrice. Sebbene Wilhelm non cada nelle trappole del figurismo di Bouvet, egli aderisce comunque all’idea ermetica della prisca philosophia, ovvero alla nozione che vede sgorgare da un’unica fonte sapienziale tutti i sistemi culturali e le religioni umane.

Negli anni 50’, quando l’edizione tedesca di Wilhelm viene tradotta in inglese, all’interpretazione del missionario si aggiunge anche quella psicologica di Jung, che vede nel sistema degli esagrammi la rappresentazione di un diverso tipo di casualità, detta sincronicità, un tema al quale dedicherà un importante libro assieme al fisico Wolfgang Pauli. Sempre negli anni ’50 l’Yijing viene adottato dal compositore John Cage, come modo per sottrare l’operazione compositiva dall’elemento di controllo posto dall’autore. Anche il noto esoterista Aleister Crowley elabora una personale interpretazione dei Mutamenti, e lo fa, in maniera non troppo dissimile da quella praticata da Bouvet nel XVII secolo, in maniera comparativa. Assumendo una teoria sulla simbologia dello Yin e dello Yang che circolava già verso la fine dell’800, Crowley connette le due polarità con gli organi sessuali e gli archetipi della maschilità e della femminilità. Inoltre, non esita a collegare il testo cinese con nozioni dell’esoterismo occidentale, come la quabbalah e la dottrina dei quattro elementi.

Negli anni ’70 e ’80, l’interesse per il testo cinese crebbe sino al punto da diventare una moda culturale: cantanti, artisti, medici, fisici e ‘ricercatori indipendenti’ sia occidentali che orientali cercavano delle corrispondenze significative fra modelli di vario tipo e la mutazione degli esagrammi. Ancora una volta, in questa sua ultima mutazione, l’Yijing perde alcune delle sue caratteristiche culturali e si apre al gioco infinito delle sovrainterpretazioni.

In una cosmologia omologica, i veri “ generi naturali” (cioè i generi con origini comuni) non sono il tempo atmosferico, gli animali, le direzioni e così via, ma le categorie del trigramma stesso (oggi intese come modelli di qi). Queste si manifestano in modo diverso a scale diverse — di modelli meteorologici, tipi di animali, direzioni e così via — in modo tale che le relazioni apparentemente analogiche tra i membri della classe si rivelano omologiche quando si effettua uno zoom […] Quando vengono applicati a fenomeni specifici, questi termini cosmologici descrivono esplicitamente propensioni in determinate condizioni piuttosto che inevitabilità causalmente indipendenti: le previsioni dipendono dalle contingenze del comportamento umano, che in linea di principio può essere influenzato da qualsiasi altro fenomeno co-occorrente su qualsiasi scala. In effetti, l’idea che tutte le cose nel cosmo siano causalmente connesse costituisce il requisito logico per il funzionamento della predizione […] È infatti uno dei motivi per cui la cosmologia correlativa viene comunemente interpretata come “relazionale” o addirittura olistica: ogni cosa “ha senso” solo in relazione a tutto il resto” (William Matthews, Cosmic coherence)

L’Yijing è, in tutta la sua complessità, il testo ricavato da un’arcaica arte di divinazione, trasformatosi lentamente in una guida etica e strategica, in una specie di cronaca non-lineare dei secoli arcaici delle dinastie cinesi. È anche un breviario di etica confuciana e un modello cosmogonico e cosmologico evidenziato nei commentari filosofici.

Seguendo il commentario filosofico dell’Yijing di François Jullien — a sua volta ispirato dal commento cinese di Wang Fuzhi (1619–1692) — proviamo a mostrare, in una manciata di esagrammi, quale sia la struttura generale dell’opera e come funzionano le modalità specifiche di lettura dei singoli esagrammi.

La disposizione degli esagrammi narra una storia — si parte da due principi ‘puri’, composti da sei tratti yin e sei tratti yang (1 e 2 ) per concludere con due figure in cui in tratti si alternano (63, 64). Come abbiamo visto, gli esagrammi si producono per duplicazione dei tratti dei trigrammi (bagua), i quali sono natural kinds, e sono spesso associati ad altri diagrammi, come quello delle cinque fasi o a strutture di cambiamento temporale o disposizione spaziale nel feng shui. Ogni esagramma contiene quindi al suo interno due generi naturali. Dato che fra i trigrammi esistono delle relazioni di combinazione sintattica, per somiglianza e differenza, per armonia e contrasto, è importante, nell’’interpretazione degli esagrammi, conoscere le loro componenti combinatorie.

I primi due esagrammi (Creativo e Ricettivo) rappresentano le polarità in gioco in tutto il testo — sono raddoppiamenti di Cielo e Terra. In questo, si tratta di figure che determinano che la natura dinamica e processuale dei Mutamenti — non ci sono esagrammi positivi o negativi, ma indici dello stato del qi. Dal punto di vista della progressione interna, essi sono posti all’inizio perché rappresentano forme ‘pure’ di Yin e Yang.

Gli esagrammi 12 e 13 (Crescita e Declino) rappresentano due situazioni contrapposte, composte da Cielo e Terra: in un caso si ha la disposizione ‘corretta’ — il cielo domina la terra — nell’altro si ha la disposizione ‘scorretta’. Crescita indica l’apertura di una comunicazione fra i due principi (Cielo e Terra), mentre declino indica la rottura del dialogo. L’esagramma della crescita, con la sua inversione di Cielo e Terra, mostra il potere del sovrano, ovvero il Mandato Celeste; al contrario, il declino indica la vittoria del popolo, o dell’ignorante sul sapiente. Questo non significa che il significato di ‘declino’ sia interamente negativo — come abbiamo visto, nulla ha una struttura netta nell’Yijing, ma indica che è necessario un periodo di riflessione, una ricomposizione delle forze, un modo di conservare la virtù morale in uno spazio sociale disarmonico e corrotto.

Gli esagrammi 31 e 32 (Incitazione e Conservazione) sono il naturale seguito di 12 e 13, ma invertiti. In altre parole, l’armonia della Crescita, se prolungata, può portare ad un indurimento e ad una ostinazione (Conservazione), mentre dal declino si può sviluppare, in maniera quasi come attraverso il riflesso di una risposta involontaria ad uno stimolo (Incitazione), la forza necessaria per risalire da uno stato di prostrazione. Dal punto di vista figurativo, la relazione fra Crescita e Conservazione è dato dalla permutazione del I e del IV tratto.

Gli esagrammi 41 e 42 (Diminuzione e Aumento) si presentano, dal punto di vista grafico, come l’inverso dei precedenti — i tratti yin si sostituiscono agli yang e viceversa. La Diminuzione non ha, ancora una volta, un carattere negativo, ma indica il tempo necessario per la maturazione. Aumento, invece, si compone dei trigrammi del Tuono e del Vento, come ad indicare un effetto di propagazione naturale, una disseminazione. Wang Fuzhi lega in modo specifico Diminuzione e Aumento ai fenomeni di generazione e corruzione delle specie naturali.

Gli ultimi due esagrammi (Completezza e Incompletezza) sono come un’immagine in miniatura dei Mutamenti. Composti dai trigrammi opposti di Fuoco e Acqua, rappresentano la massima dispersione e variabilità dei tratti. La Completezza è effimera, poiché il fuoco (in basso) viene presto spento dall’acqua (in alto), mentre, nell’Incompletezza avviene il contrario. L’esagramma della Completezza mostra i tratti yin e yang con i loro posti ‘corretti’ ovvero pari per yin e dispari per yang, leggendo le posizione dalla I alla VI partendo dal basso verso l’alto. Tuttavia, questo istante è instabile, poiché composto da principi opposti, e l’illuminazione o la coincidentia oppositorum presto si trasforma in anarchia e dissoluzione. Nel caso dell’Incompletezza, ogni linea è nella sua posizione scorretta e il Fuoco si pone sopra l’Acqua. L’ultima immagine con quale il libro si conclude (?) è quella di un simposio: si beve molto e si è in compagnia, ma la festa può presto debordare in una situazione di confusione e perdita del controllo.

L’ultima linea dell’ultima figura, chiude così il libro su un quadro ambiguo: gioia dell’intesa cordiale (tra fattori opposti) — minaccia di eccessi. In altre parole, il libro non si chiude ma termina in sospeso. Il futuro rimane aperto: il cuore del disordine cova una nuova solidarietà, ma è necessario essere cauti” (François Jullien, Figures de l’immanence)

Gli esagrammi 23 e 24 (Scuoiare e Ritorno) sono forse i più iconici della serie. L’immagine dello scuoiare evoca il progressivo scorticamento di un albero o di un’epidermide. Nel commento cinese 23 evoca una scena dinamica di penetrazione di una potenza negativa (cinque tratti Yin), come un’onda nera che s’infrange contro uno scoglio luminoso, l’unico tratto Yang, il posto dell’uomo saggio che, anche all’interno di una situazione grave, riesce a mantenere intatto il suo rigore morale. L’esagramma 24 invece presenta una soluzione inversa: la prima linea è quella salda, e quindi più stabile della posizione che aveva nello Scuoiare. Ritorno qui non indica solamente una ripetizione del simile, come un ciclo, ma una ripresentazione ogni volta alterata.

Gli esagrammi 43 e 44 (Eliminazione e Insinuazione) sono prodotti per permutazione dei tratti di 23 e 24. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a figure altamente iconiche. L’eliminazione è il tentativo di purificazione dal disordine e dal male, ma l’ultimo tratto yin mostra come questo processo non potrà mai essere completo. Esso resiste come un residuo ineliminabile. L’insinuazione, al contrario, pone il tratto yin in una posizione dominante, anche se sola, e questo sta a significare il potere della seduzione. Il tratto mostra la sua apparente debolezza yang per celare la sue arte. Il suo significato è quello di prestare attenzione ai segni impercettibili di discordia o disarmonia all’interno di un quadro apparentemente stabile.

Ora che abbiamo osservato un po’ più da vicino come funziona almeno una delle interpretazioni degli esagrammi, attraverso la scomposizione in trigrammi, il rapporto fra le varie figure e il rapporto interno fra le singole linee, possiamo trarre alcune considerazioni conclusive sul Classico dei Mutamenti e sul modo in cui la nostra specie si rapporta a simboli e modelli nella sua continua ricerca di analogie e formulazione d’inferenze.

Simboli metafisici: ecco in realtà che cosa sono essenzialmente i «trigrammi» e gli «esagrammi», una rappresentazione sintetica di teorie che possono avere illimitati sviluppi oltre che adattamenti molteplici qualora, invece di rimanere nella sfera dei princìpi, ne venga fatta l’applicazione a questo o a quel campo determinato. Leibniz si sarebbe molto stupito se gli fosse stato detto che la sua interpretazione aritmetica trovava posto anch’essa fra quei significati che egli respingeva senza conoscere, ma soltanto a un livello subordinato e del tutto accessorio; questa interpretazione, infatti, non è falsa in se stessa, ed è perfettamente compatibile con tutte le altre, ma è completamente insufficiente e incompleta, e addirittura insignificante quando la si consideri isolatamente; essa può presentare qualche interesse soltanto in virtù della corrispondenza analogica che lega i significati inferiori al senso superiore, conformemente a ciò che abbiamo detto sulla natura delle «scienze tradizionali» (René Guénon, Oriente e Occidente)

Anch’io gioco con i simboli e ho ideato un’opera dal titolo Cabala geometrica […] Gioco però in maniera da non dimenticare mai che si tratta solo di un gioco. Niente, infatti, può essere dimostrato con i simboli; nessun segreto della natura viene svelato da simboli geometrici. Essi ci danno solo risultati che erano già noti anche prima, a meno che non si sia dimostrato con argomenti sicuri che non sono unicamente dei simboli, ma che esprimono il modo e le cause delle connessioni tra le due cose paragonate” (Johannes Kepler, Lettera a Joachim Tanck, 12 maggio 1608)

Le due interpretazioni qui presentate sono, per certi versi, opposte: la prima, che potremmo definire ‘tradizionalista’ è fondata su principi metafisici, la seconda, ‘empirista’ è fondata sulla verificabilità e la falsificabilità degli enunciati scientifici. Keplero parla di ‘cabala’ in rapporto alla concezione cosmologia di Robert Fludd, una dottrina basata sul modello dell’harmonia mundi ermetica, ovvero su una concezione della realtà di tipo ‘pitagorico’, legata al tentativo di trovare una corrispondenza fra numeri e fenomeni fisici. La principale differenza fra il metodo di Fludd e quello di Keplero sta nel diverso ruolo che i due autori attribuiscono alla matematica: per il primo essa è una fonte di sapere arcaica e metafisica, mentre per il secondo è uno strumento per calcolare la prevedibilità dei fenomeni naturali. La presenza di corrispondenze o armonie numeriche non è, di per sé, rilevante dal punto di vista scientifico, mentre lo è il fatto di poter produrre predizioni controllabili.

L’Yijing, diversamente da quanto afferma Guénon, non comprendeva l’interpretazione formulata da Leibniz, perché tale interpretazione si basava sul concetto di potenza e di notazione binaria, due strutture matematiche che non erano mai state formulate nel pensiero cinese in rapporto al Classico dei Mutamenti. Shao Yong si limita a ridisporre gli esagrammi secondo un ordine lessicografico, la cui unifica funzione è quella di mostrare, in maniera più chiara, l’ordine combinatorio degli esagrammi. Ma non solo in Cina non si è sviluppata, autonomamente, una riflessione puramente matematica sull’Yijing — non è mai stato formulato un pensiero probabilistico.

“[…] in Cina i giochi d’azzardo hanno fornito un quadro per il trattamento matematico dei possibili risultati. Ma è dubbio che il passo concettuale che mette in relazione il numero di eventi favorevoli e il numero totale di eventi possibili, che in Europa ha posto le basi di una teoria matematica della probabilità, sia mai stato compiuto in Cina […] Sembra che in Cina la teoria delle probabilità, oggi parte importante della statistica basata su strumenti combinatori, sia stata un’area matematica interamente importata dal mondo occidentale” (Robin Wilson, Ronald Graham, John Watkins, Combinatorics: Ancient and Modern)

Come afferma Tiziano Mattei, nel pensiero cinese classico non esiste la nozione di caso: le architetture cosmologiche che si basano sulle cinque fasi e sull’Yijing considerano il meccanismo divinatorio come una specie di microscopio che rivela, in forma condensata, simbolica e schematica, la struttura attuale del qi.

Quando, negli anni ’60, il Classico dei Mutamenti viene associato alle recenti rivoluzioni scientifiche della teoria quantistica e della teoria della relatività da parte del fisico tedesco Fritjof Capra, è di nuovo in discussione il rapporto che le strutture matematiche hanno in relazione alla costruzione di modelli predittivi e cosmologici. Capra offre un evocativo elenco di corrispondenze fra induismo, buddhismo e taoismo in rapporto alle più recenti scoperte nel campo della fisica teorica. Nella conclusione de Il Tao della fisica egli arriva ad asserire che le varie mutazioni dell’Yijing possano essere associate ad una peculiare interpretazione della teoria delle particelle elementari — teoria che pochi anni dopo è stata confutata.

Come avviene nel mondo delle particelle, le strutture generate dai mutamenti possono essere ordinate in varie figure simmetriche, per esempio la figura ottagonale formata dagli otto trigrammi, nella quale i trigrammi opposti hanno le linee yin e yang scambiate. Questa figura è persino vagamente simile all’ottetto dei mesoni […] nel quale particelle e antiparticelle occupano posizioni opposte. Il punto importante, tuttavia, non è questa somiglianza fortuita, ma il fatto che sia la fisica moderna che l’antico pensiero cinese considerano il mutamento e la trasformazione l’aspetto principale della natura, e giudicano secondare le strutture e le simmetrie generate dai mutamenti” (Fritjof Capra, Il Tao della fisica)

Capra non afferma che ci sia una corrispondenza fra la fisica delle particelle e l’Yijing, egli sostiene, più modestamente, che l’interpretazione generale della materia come mutamento continuo accomuni le due formulazioni. Il problema, è che altrove Capra formula una tesi molto più radicale di questa ‘somiglianza accidentale’, laddove afferma che mistica e fisica sono due modelli, altrettanto validi, d’indagine della natura e della psiche. In particolare, il modello mistico arriverebbe a descrivere delle realtà ‘oltre lo spazio e il tempo’, simile a quello ch’emerge dalla rivoluzione relativistica e quantistica. Egli asserisce, inoltre, che mistica e fisica sono due mappe applicate ad un territorio, ovvero entrambe riescono a far emergere qualcosa — sotto forma di esperimento o di esperienza, ed entrambe sono valide.

Il misticismo orientale si basa sulla intuizione diretta della natura della realtà, e la fisica si basa sull’osservazione dei fenomeni naturali negli esperimenti scientifici. In entrambe i cambi, le osservazioni vengono in seguito interpretate e l’interpretazione molto spesso viene comunicata con parole. Poiché le parole sono sempre una mappa astratta e approssimativa della realtà, le interpretazioni verbali di un esperimento scientifico o di una visione mistica sono necessariamente imprecise e incomplete. I fisici moderni e i mistici orientali sono entrambi perfettamente consapevoli di questo fatto” (Fritjof Capra, Il Tao della fisica)

L’Yijing, questa base — possiamo ben definire sperimentale — della filosofia classica cinese, è un metodo destinato da tempi antichissimi a cogliere nella sua totalità una situazione e a porre quindi il problema singolo nel quadro del grande gioco antitetico di Yang e Yin. Cogliere la totalità è ovviamente lo scopo anche della scienza naturale. Ma questo scopo si trova necessariamente a una distanza assai remota, perché la scienza naturale procede, sempre che sia possibile, per via sperimentale e in ogni caso statistica. L’esperimento consiste nel porre un problema in una maniera determinata, che esclude per quanto è possibile ogni elemento perturbante e non pertinente. Esso pone condizioni, le impone sulla natura e in tal modo la costringe a dare una risposta orientata al problema dell’uomo. Procedendo così, s’impedisce alla natura di rispondere attingendo alla massa delle sue possibilità e limitandole al massimo. A questo scopo si crea in laboratorio una situazione artificialmente ristretta al problema, situazione che costringe la natura a dare una risposta, quanto più univoca possibile. In tal modo si esclude completamente che la natura agisca nella sua totalità illimitata” (Carl Jung, La sincronicità)

La base del discorso di Capra consiste in un approfondimento della nozione di sincronicità introdotta negli anni ’50 dallo psicologo svizzero Carl Jung, in un saggio che, fra le altre cose, parla proprio dell’Yijing. Nel saggio di Jung viene fatto esplicito riferimento ad esperimenti di parapsicologia legati al tentativo di verificare, sperimentalmente, l’esistenza di facoltà ‘predittive’ nella mente umana. Tali esperimenti si sono rivelati impossibili da ripetere, e quindi forse erano legati più a imprecisioni, falsificazioni e falsi positivi che ad una procedura scientificamente corretta. Nonostante ciò, le argomentazioni di Jung sembrano muoversi in due direzioni contrarie: da un lato egli afferma, seguendo fonti antiche tratte dalla magia e l’astrologia medievale, che è possibile concepire qualcosa come un’actio in distans in quanto rapporto fra la mente e la materia, dall’altro, egli si ostina a produrre prove statistiche di correlazioni fra segni zodiacali e caratteri psicologici e fra eventi e precognizioni. In particolare, Jung connette la sua idea di inconscio collettivo alla separazione della coscienza dal suo correlato neurologico — come se esistesse una specie di ‘mente comune’ o anima mundi che permea tutti gli enti. Così come nella dottrina cinese del qi, le esperienze parapsicologiche di percezione extrasensoriale, di precognizione o di near death rivelerebbero una forma di ‘casualità’ che la scienza ‘meccanicistica’ non rileverebbe, troppo accecata dai paradigmi cartesiano e newtoniano. La natura del continuo spaziotemporale einsteiniana e della indeterminazione quantistica servono, a Jung così come a Capra, come prove per dimostrare che le speculazioni mistiche e le dottrine cosmologiche tradizionali hanno delle basi scientifiche.

Più si studiano i testi religiosi e filosofici degli Indù, dei Buddhisti e dei Taoisti, più risulta evidente che in ognuno di essi il mondo è concepito in termini di movimento, di flusso e di mutamento. Questa qualità dinamica della filosofia orientale sembra essere una delle sue caratteristiche più importanti. I mistici orientali vedono l’universo come una rete inestricabile, le cui interconnessioni sono dinamiche e non statiche. Questa rete cosmica è viva: si muove, cresce e muta continuamente. Anche la fisica moderna è giusta a concepire l’universo come una siffatta rete di relazioni e, come il misticismo orientale, ha riconosciuto che questa rete è intrinsecamente dinamica. Nella meccanica quantistica, l’aspetto dinamico della materia si manifesta nella conseguenza della natura ondulatoria delle particelle subatomiche, assumendo un significato ancora più essenziale nella teoria della relatività, nella quale l’inseparabilità dello spazio-tempo implica che l’esistenza della materia non può essere separata dalla sua attività” (Fritjof Capra, Il Tao della fisica)

La scoperta moderna della discontinuità (cioè dell’ordinamento, per esempio, del quanto di energia, della disintegrazione del radio, ecc.) ha posto termine al dominio esclusivo della causalità […] Il terreno […] che ha perduto apparteneva prima alla sfera della corrispondenza e della symphatia, concetti che raggiunsero la loro massima espressione nell’armonia prestabilita di Leibniz […] Oggi noi siamo nella situazione favorevole che ci permette di disporre, grazie agli esperimenti ESP, di parecchio materiale sperimentale […] La sincronicità non è più enigmatica e più misteriosa di quanto lo siano le discontinuità della fisica. Soltanto la radicata convinzione dell’onnipotenza della causalità crea difficoltà alla comprensione e ci fa apparire impensabile che possano verificarsi o esistere eventi privi di causa […] La “mancanza di una possibile spiegazione” non deriva qui […] soltanto dal fatto che la causa è ignota, ma dal fatto che non c’è causa pensabile con i nostri mezzi intellettivi. È il caso che si verifica necessariamente quando spazio e tempo perdono il loro significato, o sono diventati relativi, perché in tali circostanze diventa impossibile stabilire, anzi addirittura pensare in generale, una causalità, la quale presuppone, per esistere, spazio e tempo” (Carl Jung, La sincronicità)

Jung, come Capra, associa fenomeni relativistici (la relatività delle categorie di spazio e tempo) e quantistici (il problema del rapporto fra fenomeno e apparato sperimentale evidenziata da Bohr) a fenomeni di esperienza extrasensoriale e alla dottrina ermetica delle corrispondenze trovando un appiglio scientifico nel tentativo di spiegare casi di ‘coincidenze significative’ apparentemente incomprensibili. Il problema, in questo caso, è che gli esperimenti ESP si sono rivelati statisticamente non corretti, e che, per quanto riguarda la meccanica quantistica, Jung si riferisce ad una sua interpretazione, quella della scuola di Copenaghen, la quale non gli fornisce i dettagli strutturali e matematici, ma una specie di quadro ontologico di riferimento.

È evidente, agli occhi di un osservatore contemporaneo, che il discorso di Jung è affetto da un bias di euristica della disponibilità, in altre parole, per un effetto di limitazione nella memoria umana, si tendono a considerare come significativi quegli eventi che più facilmente ci vengono alla mente. Questo significa che, a partire da una serie di occorrenze che, nel caso di Jung sono rievocazioni di eventi personali e di casi riportati da suoi pazienti, si tende a stabilire una specie di regolarità che nella realtà non sussiste. Ma Jung non si limita a ciò, egli stabilisce una teoria, che a suo avviso ha una serie di basi scientifiche, sulle ragioni per la quale alcuni fenomeni ‘irrazionali’ come la divinazione, la precognizione o le esperienze di percezione extrasensoriale avrebbero il loro fondamento in una connessione acausale fra fenomeni che si verifica aldilà dello spazio, del tempo e dei confini cranici della mente umana.

Se ci affidiamo ad alcune ipotesi neuroscientifiche attuali, che al momento sono in studio dal gruppo di ricerca del neuroscienziato francese Stanislas Dehaene, è possibile affermare che la mente umana abbia una caratteristica peculiare che la distingue da altri primati: la facoltà d’inferire strutture arboriformi a partire da stringhe. Ciò significa che la mente, di fronte ad uno stimolo visivo o auditivo, riesce ad estrarre delle regolarità in una forma grammaticale. Tale procedimento sarebbe alla base dell’elaborazione simbolica delle percezioni. In sintesi: la mente umana è in grado di astrarre simboli a partire da stimoli confusi, in seguito è in grado di strutturare questi simboli in una maniera combinatoria, gerarchica e ricorsiva, producendo quindi tassonomie, schemi e regole di composizione. Tale facoltà è limitata dalla complessità algorimtica dei fenomeni, ovvero dalla quantità d’informazioni che è in grado di cogliere. Se un fenomeno è complesso, la mente lo scompone in sequenze semplici, nel caso di un fenomeno visivo, in forme geometriche. Queste forme, poi, possono venire combinate secondo procedimenti algoritmici in modo fa formare un vero e proprio linguaggio combinatorio.

Se tale ipotesi risultasse confermata, potrebbe spiegare molto chiaramente che cos’è in atto nell’Yijing. La nascita del Classico dei Mutamenti dalla piromanzia e dalla scapulomanzia è legata, nel racconto mitico, alla facoltà analogica di Fuxi, che estrapola pattern ordinati dai cieli e dalle tracce degli animali. Solamente in seguito, i Mutamenti diventano un modello cosmologico, nel moneto in cui i simboli, astratti dalla loro indicalità originaria diventano un gioco combinatorio che fornisce un’immagine in miniatura del cosmo.

La struttura dell’Yijing è, dal punto di vista matematico, quella di un sistema combinatorio e simmetrico basato sull’alternanza di linee continue e staccate. La percezione della simmetria sembra essere una facoltà prettamente umana, e la sua funzione sarebbe quella di ridurre la complessità informazionale degli stimoli percettivi, trasformandoli in simboli che si ripetono, si ruotano o si combinano. Tale facoltà è funzionale alla sopravvivenza, perché permette di formulare delle previsioni più accurate basandosi sull’inferenza di analogie e somiglianze e sulla successiva induzione di regole generali.

I babbuini erano insensibili alla regolarità geometrica, [anche] dopo un addestramento intensivo. A differenza degli esseri umani, essi percepivano quadrati e rettangoli in modo non diverso da altri quadrilateri irregolari [Ci sono quindi due strategie] una percettiva, disponibile a tutti i primati, in cui le forme geometriche vengono elaborate nel sistema visivo ventrale come qualsiasi immagine o volto; e una simbolica, apparentemente disponibile solo per gli esseri umani, in cui le forme geometriche vengono compresse in base alle “ripetizioni di ripetizioni” (simmetrie) discrete e simboliche” (Stanislas Dehaene et alii, Symbols and mental programs)

Il problema è che il ragionamento analogico e induttivo, basato sull’estrapolazione di ripetizioni, simmetrie e somiglianze non è, di per sé, prova di un ragionamento scientifico. Perché si sviluppi completamente, il ragionamento scientifico deve anche dimostrare la connessione fra strutture matematiche, correlazioni statistiche e prove sperimentali ripetibili. L’Yijing è un metodo divinatorio che individua nelle figure degli esagrammi dei correlati con l’intera realtà, ma non si pone troppo il problema della verifica, o, addirittura non può porselo perché il commentario degli esagrammi e vago, confuso e spesso contraddittorio. In altre parole, la ‘verifica’ del funzionamento dei Mutamenti è dettata da un calcolo mentale (l’euristica di cui abbiamo parlato precedentemente) che è soggetto a limitazioni e imprecisioni. L’importanza delle analogie nella formulazione dei cambiamenti di paradigma che avvengono nella scienza è fondamentale. Tuttavia, essa è anche fonte di errori che si manifestano come falsi positivi e non si può affermare come principio generale l’esistenza di una correlazione fra simmetrie e regolarità e verità. La ricerca della simmetria ha condotto la ricerca fisica attuale ad un’impasse, sottolinea la fisica tedesca Sabine Hossenfelder, un’impasse che caratterizzava la dottrina armonica di Fludd rispetto alla teoria di Keplero.

La scoperta di schemi di simmetria nel mondo delle particelle ha portato molti fisici a credere che essi rispecchino le leggi fondamentali della natura. Durante gli ultimi quindici anni si sono impegnate molte energie nella ricerca di una “simmetria fondamentale” di base che dovrebbe incorporare tutte le particelle note, e quindi dovrebbe “spiegare” la natura della materia […] La simmetria, insieme con la geometria, svolse una funzione importante nella scienza, nella filosofia e nell’arte dei Greci, che la identificarono con la bellezza, l’armonia e la perfezione. I Pitagorici consideravano gli schemi simmetrici di numeri come l’essenza di tutte le cose; Platone credeva che gli atomi dei quattro elementi avessero le forme di solidi regolari, e gran parte degli astronomi greci pensavano che i corpi celesti si muovessero lungo orbite circolari poiché la circonferenza era la figura geometrica con il maggior grado di simmetria” (Fritjof Capra, Il Tao della fisica)

I principi di simmetria hanno ispirato lo sviluppo e, infine, l’unificazione dell’interazione elettromagnetica e dell’interazione nucleare debole nell’interazione elettrodebole. L’interazione nucleare forte venne spiegata nello stesso modo per mezzo di una simmetria tra le particelle elementari. E, in retrospettiva, anche le teorie della relatività ristretta e generale di Einstein potevano essere intese come espressioni di principi di simmetria. L’odierna fede nella bellezza come principio ispiratore è fondata sull’uso che ne è stato fatto per lo sviluppo del modello standard e della relatività generale. Di solito si prende come giustificazione l’esperienza pregressa: ha funzionato, quindi sembra sensato continuare a usarla […] l’esperienza con le teorie del secolo scorso potrebbe non essere d’aiuto nel costruirne di nuove. E, in mancanza di giustificazioni sperimentali, la bellezza resta sempre un elemento soggettivo. Questo evidente conflitto con il metodo scientifico viene riconosciuto dai fisici contemporanei, ma l’uso di criteri estetici è ugualmente diventato una pratica largamente accettata. E più un’area di ricerca è distante dai test sperimentali, più pronunciata diventa la richiesta di eleganza per le sue teorie. Nell’ambito dei fondamenti della fisica, lontano dai test sperimentali quanto può esserlo una scienza che comunque rimanga scienza, l’influenza del giudizio estetico è particolarmente rilevante.” (Sabine Hossenfelder, Sedotti dalla matematica)

La questione del rapporto fra modelli, mente e mondo, si può definire sinteticamente in questo modo: più un modello è vago, può questo potrà produrre somiglianze apparentemente significative. Questo non significa che i modelli possano coglie la realtà con una precisione assoluta, anzi, è forse possibile seguire Capra quando sostiene che ogniqualvolta noi frapponiamo fra la mente e il mondo un modello, in un qualche modo utilizziamo un filtro distorcente che narcotizza o evidenzia alcune proprietà. La caratteristica dei sistemi divinatori come l’Yijing è quella di prospettare una corrispondenza fra schemi combinatori e simmetrici e mondo. Presa in senso astratto e generico, tale affermazione è corretta. Ma le stratificazioni millenarie dei Mutamenti non hanno mai messo in discussione, in primo luogo, la pertinenza degli esagrammi. Esse si sono semplicemente accumulante, usando un principio di autorità la cui verità è retrodatata alle origini tradizionali e sciamaniche. Quando, per caso, Leibniz vede nei Mutamenti una conferma dell’efficienza della sua notazione binaria egli non s’interessa in modo particolare della stratificazione simbolica. Per questo, afferma Guénon, egli impone un’unica interpretazione. I simboli culturali sono però legati ad una cultura e, anche all’interno di una cultura, hanno diversi strati d’interpretazione. Dal punto di vista antropologico, è chiaro che l’archivio delle interpretazioni viene registrato correttamente solamente da una parte della popolazione. Si crea così una opacità simbolica, presenta anche all’interno degli stessi membri di una popolazione.

I sistemi simbolici di una comunità sono strutturati, per così dire, a strati — dai significati esterni, trasparenti, fino a quelli interni, il cui accesso richiede gradi crescenti di conoscenza esoterica / immaginazione poetica / intuizione filosofica / e prospettiva globale […] L’esistenza di […] una struttura simbolica coerente richiede che un numero sufficiente di membri della comunità abbia accesso agli strati simbolici più profondi della cultura per perpetuare queste strutture, aggiungerle e modificarle progressivamente e mantenerne la coerenza — e questi devono essere solo una piccola minoranza in ogni generazione” (Roger Keesing, On not understanding symbols)

La recezione occidentale dell’Yijing, così come la sua reinterpretazione locale attraverso categorie della fisica contemporanea è un esempio di esotismo e opacità dei simboli. Da un lato abbiamo un meccanismo di divinazione altamente stratificato che sembra contenere una conoscenza arcaica originaria, dall’altro abbiamo il tentativo di razionalizzare una pratica irrazionale. Nelle varie interpretazioni l’analogia iniziale fra esagrammi e realtà non viene mai messa in discussione, ma si sposta il riferimento a teorie, di volta in volta, diverse.

Due saggi cinesi cercarono nel dodicesimo secolo della nostra era cercarono […] di spiegare come concordanza significativa la contemporaneità di uno stato psichico con un processo fisico. In altre parole: essi supposero che sia nello stato psichico che in quello fisico si esprima la stessa realtà. Per verificare questa ipotesi, occorreva però, in quanto esperimento apparentemente illimitato, una condizione ancora, ossia una certa forma del processo fisico, un metodo o una tecnica che costringesse la natura a formulare la sua risposta mediante numeri pari e dispari. In quanto rappresentanti di Yin e Yang, questi numeri sono propri sia dell’inconscio che della natura in forma di opposti, ossia di madri e padri di tutto ciò che accade, e costituiscono quindi il tertium comparationis fra il mondo psichico interiore e il mondo fisico esterno” (Carl Jung, La sincronicità)

A differenza della soluzione proposta da Jung (e dai saggi cinesi), è possibile spiegare questa ‘incomprensibile’ relazione fra mente e mondo in un altro modo, ovvero spiegando che la polarità (una forma di simmetria) sia originariamente una struttura che, in quanto umani, siamo predisposti a ricercare e che, spesso, per via induttiva applichiamo anche a fenomeni che non hanno questa proprietà (o che la posseggono solo in certe scale o secondo alcune precondizioni). Il pensiero cinese classico, come quello di Leibniz (e lo vedremo prossimamente), si basa su un’assenza di ragionamento probabilistico — anche se in modi diversi — sul principio di ragion sufficiente, il quale afferma che sempre, dietro un fenomeno, c’è una causa originaria.

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