Critica della ragione cospirativa

Tommaso Guariento
36 min readAug 1, 2020

Con la recente pubblicazione di un intervento del filosofo italiano Giorgio Agamben per la rubrica ‘Una Voce’, ospitata presso il sito della casa editrice Quodlibet — che ha contribuito a fondare e curare — si è chiuso un ciclo. Da mesi le posizioni di Agamben sul governo dell’emergenza pandemica sono oggetto di dibattito, stupore e scherno, vuoi per il carattere episodico e poco accurato di quei testi, vuoi per la pericolosa vicinanza fra le idee del filosofo romano e la sfera di ciò che si potrebbe comunemente chiamare ‘complottismo’.

“Come sempre nella storia, anche in questo caso vi sono uomini e organizzazioni che perseguono i loro obiettivi leciti o illeciti e cercano con ogni mezzo di realizzarli ed è importante che chi vuole comprendere quello che accade li conosca e ne tenga conto. Parlare, per questo, di un complotto non aggiunge nulla alla realtà dei fatti. Ma definire complottisti coloro che cercano di conoscere le vicende storiche per quello che sono è semplicemente infame” Giorgio Agamben, ‘Due vocaboli infami’, ‘Una Voce’, 10 Luglio 2020

Il ciclo si chiude nel momento in cui Agamben decide di affrontare direttamente, senza mezzi termini, il rapporto fra scienza, politica e cospirazioni, e lo fa, sorprendentemente, propendendo per un’apologia del sospetto. Circa quattro anni fa il tema della post-verità era al centro del dibattito giornalistico italiano, un po’ come oggi avviene per la cancel culture. Il referendum sul Jobs Act, la Brexit e le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti raccontavano l’emergere di una nuova entità dai confini sfumati all’interno della società civile e nel dibattito parlamentare: un amalgama d’irrazionalismo, qualunquismo, sovranismo e razzismo che Leonardo Bianchi aveva definito ‘gentismo’.

1. Segni del tempo

Nella turbolenta estate del 2019, poco prima della caduta del primo governo Conte, l’allora Ministro degli Interni, Matteo Salvini, aveva baciato pubblicamente un rosario durante un comizio della Lega a Siracusa, dopo averlo brandito davanti alla folla come una specie di amuleto magico. Questo avveniva durante le settimane di presentazione della mozione di sfiducia contro il governo da parte della Lega e la richiesta al popolo italiano del conferimento dei ‘pieni poteri’. La mozione verrà comunque ritirata, ma il Governo Conte I finirà a settembre. Fast-forward di un anno: a dieci giorni dall’omicidio di George Floyd, Donald Trump si presenta con una bibbia in mano alla chiesa episcopale di Washington, dopo la dispersione dei manifestanti nei fumi dei lacrimogeni. Nessuna parola di accusa nei confronti dell’atteggiamento razzista delle forze dell’ordine nel suo discorso.

Washington, 2 giugno 2020
Siracusa, 12 agosto 2019

Che queste siano piccole increspature nel vortice tumultuoso della storia, è indiscutibile. Ma, proprio come molti anni fa Agamben insegnava, alcuni dettagli hanno valore paradigmatico, e possono gettare luce su processi di natura molto più complessa.

Nella sua apologia del sospetto Agamben si riferisce a cospirazioni storiche condotte da una piccola élite contro la democrazia e contro la società civile. Menziona inoltre le anomalie di molti eventi che hanno funestato la politica italiana degli anni ’70: eventi come l’infiltrazione dei servizi segreti internazionali all’interno di gruppi extraparlamentari durante la strategia della tensione. La citazione posta all’inizio di Todo Modo di Leonardo Sciascia, romanzo quantomai profetico sulla natura cospirativa del potere, è un passaggio del De mystica theologia del Corpus Dionysianum, una raccolta di scritti neoplatonici del Quarto Secolo. In un romanzo dedicato alla narrazione dei rapporti fra la Democrazia Cristiana, Mafia e intersezioni fra potere politico ed economico, un incipit misterico sembra perfettamente adeguato. Lo pseudo-Dionigi e la sua idea di Teologia Negativa tornano spesso negli scritti di Agamben, negli aspetti ontologici (mutuati dalla questione dell’Essere heideggeriana), politici e metodologici. Più volte il filosofo è tornato sulla nozione benjaminiana di teologia economica, interpretando attraverso categorie del pensiero scolastico l’attuale modello del capitalismo finanziario e l’ideologia neoliberale.

Secondo i principi della teologia negativa, il cuore della Divinità si rivela attraverso simboli e intuizioni, e non è oggetto di una dissertazione logica o razionale. Così, la postura del filosofo nei confronti delle vicissitudini intricate del dibattito politico e della cronaca diventa quella del profeta e del poeta — di colui che attraverso una superiore intuizione è in grado di connettere fra loro le vicende caotiche e ordinarie della storia.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero” Pier Paolo Pasolini, Io So, ‘Corriere della Sera’ 14 novembre 1974.

Nel famoso articolo che Pasolini rivolge ai mandanti delle stragi degli anni di piombo, lo scrittore romano affermava chiaramente di conoscere i colpevoli anche in assenza delle prove. Per quanto lo j’accuse di Pasolini risulti affascinante, coraggioso e corretto nel tempo in cui è stato scritto, la trasposizione del suo metodo alla nostra contemporaneità ha degli esiti problematici.

2. “Basta scienza”

È notizia di questi giorni l’approvazione al senato di una mozione che prevede l’estensione dello stato di emergenza fino a metà ottobre. Da mesi i governi della Repubblica e delle Regioni alternano strategie di completo affidamento ad un sapere tecnico, disposizioni securitarie e concessioni a Confindustria. L’insofferenza nei confronti dell’arbitrarietà delle sanzioni, la conseguente crisi economica e il deterioramento della psicosfera pubblica hanno consolidato e assembrato un insieme di posizioni eterogenee in un claim piuttosto preciso, esemplificato da un cartellone esibito nel corso di una manifestazione no vax a Firenze.

Firenze, 20 giugno 2020

Le immagini di Salvini, Trump e dell’affermazione ‘basta scienza’, prese assieme, producono una strana risonanza. Il teorema logico ex falso sequitur quodlibet afferma che, a partire da una contraddizione, si può derivare qualsiasi affermazione. In altre parole, l’esistenza di un discorso che ammette contemporaneamente degli enunciati veri e le loro contraddizioni può generare qualsiasi conseguenza. È questo il caso di un discorso religioso o di una teoria del complotto.

Il riferimento di Pasolini e Sciascia alla sfera del mistero e dell’irrazionale in rapporto ad una questione che concerne i segreti di stato ha una lunga tradizione legata alla nozione tardo-medievale di Arcana Imperii. Come ha sapientemente argomentato Norberto Bobbio in ‘La democrazia e il potere invisibile’, l’espressione indicava nel XII secolo il trasferimento del potere religioso alla sfera secolare, per poi riferirsi genericamente alla burocrazia e, negli anni ’70 italiani, al potere occulto ed al criptogoverno, ovvero all’intromissione dei servizi segreti negli affari di stato e alla manipolazione dell’opinione pubblica.

È piuttosto facile ironizzare sulle argomentazioni false ed approssimative di antivaccinisti e complottisti, ma non bisogna cadere nella tentazione di attribuire la responsabilità cognitiva nei confronti di una rete di inferenze scettiche ad un deficit intellettivo o ad un basso livello culturale. Una delle affermazioni che circola da febbraio in merito alla diffusione della pandemia è che il virus sia un artefatto — un’arma batteriologica creata dalla Repubblica Cinese, o da case farmaceutiche, o da gruppi di potere della finanza globale. In modo non troppo sottile, Agamben, come Diego Fusaro, fa intendere che dietro la gestione ‘biopolitica’ dell’emergenza Covid ci sia nientemeno che Bill Gates, che nello scorso decennio si sarebbe particolarmente interessato a modellizzare sistemi di riduzione del rischio in una situazione di contagio pandemico. Poiché Gates ha anche offerto ingenti somme di denaro per la produzione di un vaccino e consigli su come ridurre i danni dell’epidemia, agli occhi della persona sospettosa egli non può non avere un qualche ruolo in questa vicenda.

3. Cospirazioni e cartografia

Dylan Louis Monroe, dettaglio della mappa Covid-5G, consultabile al sito https://deepstatemappingproject.weebly.com/

Che un evento così disastroso, diffuso ed impalpabile sia causa di ansia, panico e proliferazione di informazioni false è abbastanza evidente. Meno chiara è la dinamica, questa sì, decisamente attuale, che porta un insieme di teorie del complotto a compenetrarsi e fondersi in una macro-cospirazione remota e tentacolare.

Le teorie del complotto hanno pervaso la fasciosfera statunitense prima, durante e dopo la vittoria di Donald Trump. Il 2018 è stato l’anno di QAnon, una cospirazione talmente assurda e contorta che sarebbe inutile descriverla dettagliatamente. Basti sapere che il nucleo di questo complotto ai danni del popolo americano sarebbe un traffico di sacrifici e atti di pedofilia condotti nel seminterrato di una nota pizzeria di Washington da parte di esponenti del Partito Democratico. Il compito storico del mandato di Trump sarebbe quello di rivelare e distruggere questo abominio grazie al supporto dei suoi seguaci. Questa meta-teoria del complotto si fonda su una precedente e più ristretta cospirazione, il Pizzagate, che afferma sostanzialmente lo stesso nucleo teorico e che nel dicembre del 2016 ha causato degli atti di violenza contro la summenzionata pizzeria di Washington. L’esplosione del Covid ha rafforzato la fede dei seguaci di Q (l’anonimo whistleblower che periodicamente diffonde le sue rivelazioni sui canali di 4Chan e 8Chan), includendo una serie di ipotesi circa la natura artificiale ed intenzionale del virus. Oltre a Bill Gates, che, come afferma Fusaro, ha preso il posto di dramatis persona del governo globale che prima apparteneva a Soros, il virus sarebbe legato alla diffusione della rete 5G che causerebbe o favorirebbe il contagio.

Marc Lombardi, Mappa delle principali compagnie petrolifere
Gioacchino da Fiore, Liber Figurarum (XII secolo)

Se si vuole avere una idea precisa della complessità raggiunta dalle teorie cospirazioniste statunitensi, basta consultare i lavori di mappatura di Dylan Louis Monroe, un artista precedentemente impegnato nel settore dell’alta moda (ora esposto al MOMA) che da alcuni anni si occupa di produrre degli artefatti visivi simili ai grafici di Marc Lombardi ed alle cronologie religiose di Gioacchino da Fiore.

Il lavoro di mappatura condotto da Monroe, per quanto inquietante, risulta concettualmente e graficamente affascinante. Le sue mappe, come quelle di Lombardi, rappresentano in un unico schema concettuale le relazioni di connessione fra i vari agenti (pubblici, governativi, istituzionali, segreti, finanziari, religiosi, etc.) che vanno a costruire la struttura del Deep State. Ora, il problema delle teorie del complotto politico, com’è noto dalle analisi di Popper, Eco e, recentemente, dei Wu-Ming, non è l’affermazione dell’esistenza di un potere occulto, ma l’errore sul calcolo dell’estensione dei confini delle sue diramazioni. Non è che tutti gli elementi della cospirazione Covid-5G siano falsi, è piuttosto che la mappa non dice nulla sul grado di pertinenza delle connessioni che si stabiliscono fra un elemento e l’altro. Per questo, nelle mappe di Monroe, come nelle teorie del complotto, eventi, persone ed istituzioni irrilevanti possono giocare un ruolo centrale. Esistono poi degli attrattori, come la figura del burattinaio — prima Soros, poi Gates o l’idea del sacrificio di infanti (accusa questa, che trarrebbe la sua origine dalle narrazioni antisemite del XI secolo). È chiaro che gli elementi meno probabili come i rapimenti alieni, l’esistenza di un governo ombra millenario, o l’uso di armi di distruzione di massa fantascientifiche che pure fanno parte di queste narrazioni, sono segnali molto forti della inconsistenza del discorso cospirazionista.

4. Agenti occulti e infallibili

Ai tempi della Brexit, dell’elezione di Trump e del referendum sul Jobs Act l’arma del ‘discorso razionale, democratico e scientifico’ era giocata dagli esponenti della sinistra neoliberale come strumento di accusa nei confronti di una parte dei cittadini e degli elettori che, mossa dal ‘risentimento verso le élites’, si rivolgeva a leaders populisti e razzisti. A questo settore della popolazione si attribuiva una condizione economica precaria e uno scarso livello culturale. In quello stesso periodo la cosiddetta estrema sinistra sognava di poter traghettare il potere moltitudinario di quella classe informe verso lidi più progressisti ed inclusivi.

Fast-forward a marzo 2020: ci sono leaders politici che decidono di infischiarsene della struttura biochimica del virus, altri che seguono solamente quanto affermano certi virologi, altri che si lasciano influenzare dalle pressioni dei gruppi industriali. Allo stesso tempo, una parte della popolazione mondiale rifiuta di ammettere l’esistenza del virus, o non segue le norme del distanziamento sociale, o, ancora, si oppone all’uso di dispositivi di protezione individuale.

Ma come si può parlare di arcana imperii e di cospirazioni in un’epoca nella quale l’accesso alle informazioni è praticamente ubiquo ed il tasso di analfabetismo sempre più basso? Sulla genesi, struttura, sintomatologia e diffusione del virus c’è un abbondanza di dati, resi disponibili gratuitamente dalle università e dagli istituti di ricerca nella fase di lockdown. Le responsabilità del governo cinese, della regione Lombardia, dei tagli alla sanità pubblica e dell’inquinamento della Pianura padana erano e sono accessibili a chiunque voglia cercarle. A fronte di questa ipertrofia informativa, come si può negare l’esistenza del virus, o credere che le onde elettromagnetiche di una rete di telefonia mobile possano essere veicoli di contagio?

A questo punto, sospettare è lecito: la cospirazione del Pizzagate, di QAnon e l’idea del Deep state appartengono ad un’area politica che difficilmente potremmo definire progressista o left-oriented. Si tratta di repubblicani, conservatori ed estremisti di destra, affermazione che potrebbe benissimo valere anche per l’area ‘gentista’ e sovranista nostrana. Non si capisce quindi come si potrebbe chiamare ‘cospirativa’ una visione del mondo rappresentata dai leaders dei partiti più popolari. È chiaro che se ci riferiamo, come fanno Furio Jesi ed Umberto Eco, ad una matrice Tradizionale ed antisemita delle cospirazioni — quello che Mussolini chiamava ‘complotto demo-pluto-giudaico-massonico’ ed al quale adduceva le cause dei ripetuti fallimenti dell’Italia nella colonizzazione dell’Etiopia, il legame fra le Destre e il cospirazionismo sembrano strettissimi.

Tuttavia, come spiega molto chiaramente Erica Lagalisse in Anarcoccultismo, la cospirazione è una delle idee chiave della storia dell’anarchismo, dai movimenti millenaristi medievali, alla Rivoluzione Francese sino a Bakunin. Cospirativo è anche il ragionamento di molti militanti ecologisti ed indigeni. Se teniamo fede ai due insegnamenti del Corpus Hermeticum: che vi è nel mondo una Verità, ma è occultata e che l’uomo aspira alla liberazione dalle sue catene politiche, sociali e corporee, comprendiamo come, a partire da una stessa radice ermetica, si possano ramificare delle teorie identitarie, vittimiste e razziste e delle forze rivoluzionare emancipatorie. In un certo senso, a chi è cresciuto con l’idea del complottista veicolata negli anni ’80 e ’90 l’immagine dell’estremista alt-right che appoggia ideologie anti-sistemiche elogiando un Presidente della Repubblica ed un partito maggioritario è poco familiare. In questo caso, più che di complotto, si dovrebbe parlare di propaganda.

Con questo potremmo abbozzare una prima spiegazione dello strano allineamento fra un erudito filosofo anarchico (Agamben), un sedicente marxista dalle idee di destra (Fusaro) e una massa eterogenea di cittadini e cittadine mossi dal risentimento. Il nucleo instabile dell’anarchismo è costituito da una difesa dell’agency individuale ad ogni costo. In una situazione politico-economica nella quale il potere è distribuito fra le multinazionali del capitalismo delle piattaforme, il grado zero dell’agency individuale di un cittadino è (purtroppo) costituto dal suo potere di delega rappresentativa. In altre parole, i leaders ed i partiti populisti, per quanto autoritari, sono apparentemente scelti da una maggioranza. Diverso è il caso di uno stato di eccezione: qui un governo tecnico (e nella nostra situazione scientifico-tecnico) si assume il compito di decidere le condotte di milioni di individui, al fine di tutelarli dai loro stessi errori.

Il principio giuridico della divisione dei poteri è valido anche nel campo epistemico ed immaginario. Le teorie del complotto metterebbero in discussione quella che il filosofo americano Philip Kitcher ha chiamato divisione del lavoro cognitivo. In una società della complessità il singolo individuo non può affidarsi unicamente alla coerenza delle catene dei suoi ragionamenti, come credeva Descartes, ma deve rivolgersi costantemente alla mediazione di gruppo di esperti ed al ruolo centrale della divulgazione scientifica e del giornalismo.

L’affermazione ‘basta scienza’, nella sua banale assurdità, è vacua e totalitaria. Le disposizioni governative in materia di contenimento dell’epidemia risultano particolarmente odiose per via dell’intersezione di descrizione e prescrizione scientifica. Mentre è abbastanza evidente (al punto da diventare preponderante) la natura normativa della scienza economica, con le sue impalpabili operazioni finanziare ed i suoi diktat di austerità — l’invasione della virologia nel campo della vita quotidiana è un avvenimento abbastanza inedito. È un fenomeno simile a quanto è avvenuto nei settori della climatologia e della geologia, che negli ultimi decenni si sono trovati al centro di dibatti politici, sociologici, economici, filosofici e antropologici. Da qui l’uso giornalistico dell’appellativo ‘negazionista’ prima in riferimento agli scettici del cambiamento climatico, ed ora usato contro chiunque affermi teorie controverse sulle modalità di diffusione e contenimento del Covid-19 comunemente accreditate dalla comunità scientifica. Anche in questo caso, è interessante notare come originariamente il sostantivo designasse una piccola minoranza di storici ed estremisti che, in barba alle evidenze documentarie, difendevano pubblicamente l’inesistenza o il ridimensionamento della soluzione finale nazista. È una situazione che difficilmente si potrebbe sovrapporre alle esternazioni di leaders politici come Boris Johnson, Trump o Bolsonaro.

L’esistenza di agenti occulti o infallibili nel campo dinamico e conflittuale dei rapporti fra gli attanti di un collettivo è una delle cause del proliferare delle teorie del complotto. Partiti, rappresentanti, istituzioni pubbliche e private sono transeunti, le formulazioni discorsive della scienza e dell’economia no. Si tratta inoltre di strutture acefale, o percepite come tali: le guerre intestine per la diffusione di un paradigma scientifico che si svolgono fra le varie comunità internazionali sono spesso occultate agli occhi del pubblico. L’esistenza di istituzioni capillari costituite di individui inafferrabili che si esprimono in un linguaggio oscuro, perentorio ed allarmista costituisce una delle principali ragioni dell’odio nei confronti degli ‘esperti’.

Questo potere occulto che limita l’agency del cittadino senza che questo possa ottenere una rivincita elettorale, una vittoria sindacale o una rivoluzione, viene confrontato direttamente dalle teorie del complotto. In queste formulazioni narrative fantastiche gli esperti sono disautorati, il potere viene ridistribuito e la divisione del lavoro cognitivo scompare.

La versione left-oriented di questo storytelling pervade la critica del Neoliberalismo. In fondo le grandi narrazioni di Dardot e Laval e David Harvey descrivono la storia secolare di un complotto che è riuscito ad impadronirsi della realtà. Gli elementi per un racconto virale ci sono tutti: un’istituzione internazionale (la Mont Pelerin Society), un susseguirsi di posizioni sempre più accreditate (dall’oscuro ordoliberalismo tedesco sino alle politiche mainstream di Regan e Thatcher). Ci sono dei supercattivi, come Friedrich von Hayek, Milton Friedman, Alan Greenspan, un colpo di stato (Cile 1973), una crisi economica (2008). Ci sono delle continue trasformazioni nel paradigma ideologico, un’alleanza con la teoria dei sistemi, la cibernetica e l’evoluzionismo. Infine, ci sono gli aspetti di manipolazione ideologica, l’elogio del consumismo, della responsabilità individuale e della competizione. Non stupisce che nel suo stadio ‘finale’ il Neoliberalismo perda i confini di una dottrina economico-politica per diventare un limite della nostra possibilità di immaginare un mondo diverso.

Quali sarebbero dunque i confini che determinano la partizione fra una storia plausibile e una narrazione cospirativa?

5. Reti bayesiane e abduzione

Sahin, O.; Salim, H.; Suprun, E.; Richards, R.; MacAskill, S.; Heilgeist, S.; Rutherford, S.; Stewart, R.A.; Beal, C.D. “Developing a Preliminary Causal Loop Diagram for Understanding the Wicked Complexity of the COVID-19 Pandemic”, Systems, 2020, 8, 20.

In un recente studio sistemico sulle cause e i circuiti di feedback della diffusione e del contenimento del Covid-19 è stato presentato un diagramma che mostra l’interconnessione di vari fattori (sociali, medici, ambientali ed economici). Gli autori e le autrici di questo studio hanno evidenziato come l’uso di un approccio sistemico e complesso ad un problema globale possa essere più efficace delle strategie a corto raggio orientate alla risoluzione di un solo problema alla volta.

Le differenze fra questo modello e le mappe disegnate da Monroe sono molteplici:

1. Nelle mappe cospirazioniste sono presenti nomi propri, c’è un estensione cronologica, geografica e concettuale esagerata. Inoltre, esse sono piene di riferimenti falsi o di dubbia pertinenza rispetto al tema generale;

2. Lo studio sistemico è frutto di un lavoro collettivo, che, a sua volta, cita altri lavori collettivi pubblicati in riviste con un sistema di peer review. Le mappe di Monroe sono sue invenzioni, e le integrazioni che ha aggiunto non provengono da fonti attendibili;

3. I fattori in gioco nello schema sistemico sono quantificati e, in alcune parti, presentano dei circuiti di retroazione;

4. Le mappe di Monroe sono concepite come degli strumenti concettuali e come degli oggetti artistici — in altre parole sono in egual misura esteticamente appaganti ed informative. Lo studio sistemico presenta un grafico molto chiaro, ma l’aspetto estetico è irrilevante;

5. Lo studio presenta uno schema completo: le informazioni per poterlo comprendere sono espresse nel grafico, nel testo o nelle citazioni. Le mappe di Monroe sono potenzialmente infinite: ogni singolo elemento è solamente una tag per iniziare un approfondimento personale.

Se vogliamo comprendere meglio le differenze fra una cartografia della complessità ed una mappa cospirativa dobbiamo rivolgerci ad una teoria matematica e ad una spiegazione evoluzionistica.

Per effetto di una strana serendipità, la formula che ci permette di valutare il grado di correttezza di una spiegazione causale è stata introdotta da un religioso e matematico inglese nella seconda metà del Settecento per contraddire una tesi di Hume che negava l’esistenza dei miracoli. Il religioso in questione è Thomas Bayes e nella sua forma estesa il suo teorema si scrive così:

Tradotto in termini discorsivi: a partire dalla conoscenza di informazioni vere (B), si calcola la proporzione fra questi dati e la nostra ipotesi (A). La barra verticale ‘|’ significa ‘assunto che’, e la formula iniziale ‘P(A|B)’ indica la probabilità della nostra ipotesi A data l’informazione corretta sulla probabilità di B. Bayes aveva chiamato questo ragionamento ‘probabilità inversa’ perché, a differenza di una normale previsione — da un’ipotesi all’abbozzo di una legge — in questo caso viene eseguito un calcolo a partire da ciò che sappiamo e lo si mette in relazione con la nostra ipotesi, considerando separatamente le probabilità dei dati e della nostra ipotesi ed inserendo nella formula anche il caso in cui l’ipotesi sia falsa (-A). è importante scrivere la formula di Bayes nella sua versione estesa, perché generalmente il denominatore è indicato solamente da P(B), ovvero la probabilità complessiva di B. Nella formula estesa questo elemento è composto da due parti: la prima è data dalla ripetizione del numeratore, mentre la seconda aggiunge un elemento che difficilmente viene valutato nel corso di un ragionamento intuitivo, ovvero il caso in cui l’ipotesi è errata.

Il teorema di Bayes ha moltissime applicazioni, dalla diagnostica al machine learning, ma se si vuole capire intuitivamente il suo senso causale, si può esprimere la formula in questo modo, sostituendo ad A e B le nozioni di causa © ed effetto (E). Per la mente umana è molto facile inferire l’effetto di un’azione quando la causa è nota. Il teorema di Bayes permette di passare da un’inferenza causale ad un’inferenza diagnostica — e questo secondo tipo di ragionamento è molto meno evidente. Vediamo come funziona la traduzione in termini causali del teorema:

P(C|E) = P(E|C) * P(C) / P( E )

La probabilità di una causa dato un effetto noto è uguale al rapporto fra la probabilità dell’effetto data la causa moltiplicata per la probabilità della causa da sola diviso per la probabilità dell’effetto a priori. Quest’ultima, abbiamo visto, si calcola così:

P(E) = P(E|C) * P(C) + P(E| -C) * P(-C)

La probabilità a propri di un effetto è data dal rapporto espresso nel numeratore sommata alla probabilità dell’effetto se la causa non è presente moltiplicata per la probabilità che la causa non sia presente. Quello che ci interessa in questa seconda formulazione, è, di nuovo, il fatto che nel denominatore sia contemplata anche la situazione nella quale l’effetto sussiste in assenza della causa. Da un punto di vista diagnostico questo risultato è particolarmente importante, perché ci permette di quantificare il rapporto che sussiste fra un sintomo o un test e l’effettiva presenza di una malattia. Più la rete del nostro setaccio si fa stretta, ovvero, più il nostro strumento diagnostico è sensibile, più avremmo come risultato un numero elevato di falsi positivi, mentre se utilizziamo un approccio specifico otterremo molti falsi negativi. Nel primo caso, le maglie della rete sono troppo larghe, ed includeremo individui ai quali viene diagnosticata una patologia inesistente; nel secondo caso, abbiamo un setaccio dalla trama troppo stretta che blocca la possibilità di individuare delle situazioni pericolose ma anormali.

Data una relazione fra due eventi, e data la probabilità che questi si verifichino separatamente, il teorema di Bayes ci permette di calcolare la probabilità che ad uno segua l’altro. Se però aumentiamo il numero di fattori presi in considerazione possiamo costruire una rete bayesiana.

Rete Bayesiana con tabelle di probabilità condizionata

Una rete bayesiana è un particolare tipo di schema, chiamato grafo aciclico orientato (DAG), composto da un serie di nodi (R, E, A, B, C), dalle interconnessioni direzionate fra questi e dalle tabelle di probabilità condizionata. Queste ultime specificano per ogni nodo le probabilità che un evento si verifichi o meno, o, come in questo caso, che sia vero o falso. La versione più semplice di questo grafo è composta da tre elementi (ad es. E, A, B). Il teorema di Bayes si applica quando viene calcolata la probabilità che un evento di verifichi (A) date due cause (E, B). In realtà questa è una delle tre possibilità del grafo, chiamata collider, le altre due sono la catena (E->A->C) e la biforcazione (R<-E->A). Le reti bayesiane sono nate per risolvere dei problemi di informatica basandosi sul metodo ‘diagnostico’ di Bayes e sulla struttura neurologica della mente umana. Le relazioni fra nodi, infatti, ricalcano il processo di trasmissione delle cariche elettriche fra neuroni.

Per poter allestire una rete bayesiana è necessario conoscere le probabilità di ogni nodo, e scegliere quali nodi siano rilevanti. Tracciata la struttura, è possibile aggiornare e correggere l’intensità delle relazioni fra nodi andando a modificare i valori nelle tabelle. Chiaramente, questo modello semplificato non spiega come possano avvenire loop di retroazione fra nodi, e nemmeno come costruire relazioni più complesse fra le varie parti. Tuttavia, esso è abbastanza potente da permetterci ci confutare alcuni biases cognitivi legati alle teorie del complotto ed al loro modello di mappatura.

La quantificazione del rapporto fra nodi, la selezione dei relazioni possibili, la direzionalità del percorso e l’influenza delle probabilità di un evento sull’altro mostrano la scorrettezza di alcune deduzioni. In questo caso, le reti bayesiane si comportano come reti di credenze.

La struttura di una rete di credenze codifica le informazioni su quali credenze influenzano direttamente altre credenze. Per semplificare, le credenze sono influenzate principalmente dai nodi vicini nella rete. Questa struttura, insieme ad alcuni dati aggiuntivi che codificano quanto una credenza influenza i suoi vicini in una rete, può essere usata per calcolare le probabilità delle credenze date quelle degli altri” (Nils Nilsson, Understanding Beliefs, Mit, 2014)

Impostare una rete bayesiana o una rete di credenze significa quantificare, ovvero soppesare il valore dei singoli nodi che rappresentano i fattori in gioco nella nostra spiegazione. Una fallacia comune, nella quale cadono le spiegazioni cospirazioniste, è quella che in inglese si chiama explaining away (letteralmente ‘giustificare’). Data una spiegazione comunemente condivisa di un certo fenomeno, si propone una diversa interpretazione. Nel caso del Covid-19, se la spiegazione comunemente accettata è che il virus si sia generato a causa di uno spillover, un salto da una specie animale ad homo sapiens sapiens, l’interpretazione cospirativa afferma invece che la pandemia sia stata pianificata consapevolmente. Ora, come abbiamo visto, la divisione del lavoro cognitivo ci libera dal peso di verificare autonomamente la veridicità delle varie spiegazioni possibili. Tuttavia, è sempre possibile delegittimare la fonte, ovvero non tanto l’inferenza, quanto i dati stessi sulle quali l’inferenza si fonda.

Una rete di credenze è una complessa struttura composta da catene di inferenze, biforcazioni e causazioni multiple — per questo non basta fornire un’alternativa plausibile per confutare una spiegazione, bisogna verificare la correttezza di ogni nodo della rete. Delegittimare una spiegazione dominante richiede una rete di inferenze altrettanto robusta.

Le teorie cospirative sono interessanti dal punto di vista delle ipotesi ausiliarie perché spesso richiedono una proliferazione a spirale di spiegazioni aggiuntive per restare a galla. Ogni ipotesi debole ha bisogno di un’ulteriore ipotesi debole per essere plausibile, che a sua volta ha bisogno di ipotesi ancora più sottili, fino a quando la teoria non abbraccia un’enorme portata esplicativa.” (Samuel J. Gershman, “How to never be wrongPsychonomic Bulletin & Review, 2019, 26

Nel procedimento della ricerca scientifica c’è sempre un paradigma dominante che viene costantemente affinato e perfezionato dal funzionamento della scienza normale. In altre parole, il controllo incrociato degli esperimenti e della letteratura scientifica ha come funzione l’aumento del potere descrittivo di una meta-ipotesi (una legge universale o molto generale) che si dirama in un rigagnolo molto fitto di conferme sperimentali, settori disciplinari e micro-conflitti che, normalmente, lasciano inalterati i presupposti più astratti della disciplina. Questo significa che le teorie scientifiche esibiscono una straordinaria complessità dal punto di vista delle infinite sotto-discipline in cui si dividono, ma una apparente omogeneità e staticità all’interno di ogni singola disciplina. Nel caso di una teoria cospirazionista, invece, ciò che viene accumulato e correlato sono anomalie, eventi straordinari che non rientrano in una spiegazione plausibile.

La credenza che una manciata di anomalie inspiegabili possa delegittimare una teoria consolidata è il cuore di tutto il pensiero cospirativo. Questo è facilmente confutabile dal fatto che le credenze e le teorie non sono costruite solamente da singoli fatti, ma da una convergenza di testimonianze provenienti da molteplici piste d’inchiesta” (Michael Shermer, The Beliving Brain, St. Martin’s Griffin, 2012)

Prima di addentrarci nella discussione delle ragioni evoluzionistiche e neurologiche che scatenano il proliferare delle teorie cospirazioniste, dobbiamo soffermarci per evidenziare una debolezza del metodo bayesiano. Il teorema di Bayes e lo sviluppo delle reti di credenze sono strumenti che rendono visualizzabile e quantificabile un tipo di inferenza retrospettiva, che procede dagli effetti alle cause. Esiste un metodo sovrapponibile o concorrenziale a quello sviluppato da Bayes, ed è la nozione di abduzione elaborata dal logico statunitense Charles Sanders Peirce. Questo tipo di ragionamento è frequente nella semeiotica medica, nella criminologia, nell’archeologia, nell’iconografia, nella storia e nella psicanalisi. Ciò che accomuna queste discipline è la raccolta di osservazioni, tracce e segni in una spiegazione (o narrazione) plausibile e coerente. Passare dall’effetto alle cause significa passare dal noto all’ignoto, dal nascosto al palese, dal caos all’ordine. L’abduzione non descrive un unico tipo di ragionamento, ma una gamma d’inferenze più o meno creative. Il grado zero è costituito dalle associazioni quasi-automatiche come un’impronta digitale o un sintomo particolarmente anomalo: esiste un unico individuo ed un’unica patologia che possono essere legati a quell’evidenza. Meno semplici sono i casi in cui un gruppo di possibili spiegazioni entrano in concorrenza per il titolo di spiegazione migliore. In questo caso si lavora su in insieme circoscritto di regole note. Infine, esiste un tipo estremo di abduzione, che opera in una situazione di completa oscurità — non essendoci casi simili da confrontare si inventa un’associazione inedita.

L’uso del teorema di Bayes non garantisce che la spiegazione più probabile sia quella vera, ma ci impone di considerare come più razionale la spiegazione più probabile, considerando una rete di cause ed effetti quantificati. Se non ci sono spiegazioni concorrenti il teorema di Bayes è inutile, così come avviene nel caso in cui le spiegazioni possibili tendono all’infinito. Nella sua analisi dell’arte della deduzione di Sherlock Holmes, Umberto Eco evidenzia il rapporto fra i metodi d’indagine del consulente investigativo londinese e lo studio peirciano dei vari tipi di inferenza. L’aspetto più interessante di questo confronto riguarda l’apparente irrazionalità del procedimento investigativo holmesiano. Le abduzioni del detective sono perlopiù creative, e quando si tratta di scegliere fra un gruppo di ipotesi, solitamente Holmes predilige quelle meno probabili. Una spiegazione possibile è che il detective segua un istinto estetico, lo stesso in gioco nella ‘compattezza’ di alcune leggi universali della fisica. C’è però dell’altro.

Da una goccia d’acqua un ragionatore logico potrebbe dedurre la possibile esistenza dell’Atlantico o delle cascate del Niagara, senza averli visti e senza aver mai sentito parlare né dell’uno né delle altre. Così, tutta la vita è una grande catena la cui natura si rivela a chiunque ne osservi un solo anello” (Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso)

Questa autodescrizione del metodo deduttivo sembrerebbe affermare che a partire da una singola occorrenza o da un dettaglio sia possibile inferire una struttura complessa, perché tutto è connesso. Ma una simile affermazione escluderebbe il caso e l’imprevedibilità dal ragionamento logico — elementi che sembrano invece implicare una fede incrollabile nel principio di ragion sufficiente o in un qualche disegno divino. Abbiamo detto che il teorema di Bayes è stato sviluppato per confutare un argomentazione scettica nei confronti della possibilità dei miracoli. Bayes aveva dimostrato che Hume aveva torto perché aumentando il numero delle testimonianze di un miracolo, aumenta anche la probabilità della sua esistenza. Il significato metodologico del teorema di Bayes è affine alla sperimentazione scientifica: ci spiega come aggiornare le probabilità delle nostre ipotesi a partire dall’acquisizione di nuovi dati. In un universo narrativo, dove effettivamente tutto è connesso, le tracce, i dettagli, le orme, le impronte e le vittime sono univocamente congiunti ad un unico colpevole. Lo stupore e il piacere che derivano dalla lettura di una detective story sono intimamente connessi con la cruda incompletezza e caoticità dell’universo non testuale. È vero che Holmes imbastisce un albero di inferenze possibili per poter tagliare quelle che non sono necessarie o che conducono a piste false, ma così facendo riduce una rete di credenze ad una retta orientata che procede implacabilmente dall’effetto (l’omicidio) all’unica causa (il colpevole).

6. Labirinti, alberi e automi cellulari

Labirinto e sua visualizzazione come albero

Lo stesso tipo di grafico che viene utilizzato per visualizzare le reti di credenze e gli aberi bayesiani permette di visualizzare la struttura delle biforcazioni di un labirinto, e fornisce anche l’algoritmo in grado di trovare l’uscita. In questo esempio, volutamente molto semplice, possiamo far corrispondere ad 1 l’effetto — i nostri dati di partenza — ed a 9 la causa corretta. Procedendo per trial and error fra le biforcazioni riusciamo ad individuare l’unico percorso che ci consente di uscire (1, 4, 7, 9). Immaginiamo ora di trovarci nel punto 4, se non teniamo conto dell’informazione pregressa, ovvero che eravamo partiti da 1, e che 2, 3 e 8 non portano a nulla, la nostra scelta fra queste alternative attribuirà un 20 % di probabilità ad ogni percorso. In realtà, ogni volta che identifichiamo un percorso che si risolve in una strada sbarrata, ritorniamo sui nostri passi ed eliminiamo quell’ipotesi. Se per qualche altra ragione di tipo estetico o superstizioso continuassimo a insistere con le stesse scelte errate, ci troveremmo bloccati in un loop, senza alcuna possibilità di trovare la nostra uscita (e quindi la nostra causa).

Con questo modello molto semplice si può spiegare quello che accade quando non si segue il metodo bayesiano. La metafora di Holmes andrebbe quindi corretta: la vita non è simile ad una catena, ma ad un labirinto o ad una rete molto complicata, nella quale non tutto è connesso e dove ci sono dei percorsi (e dei ragionamenti) vietati. Immaginiamo ora un labirinto molto più complicato, tridimensionale, dotato di varie entrate ed uscite, nel quale i percorsi variano costantemente. Come si può, a partire da uno stato inziale (effetto), risalire alle sua causa? È una domanda che si è posto anche il matematico Stephen Wolfram:

Per riconoscere che il tempo è passato, o che qualcosa è successo, lo stato dell’osservatore deve in qualche modo cambiare. Ma se l’osservatore è semplicemente una collezione di cellule all’interno di un automa mobile, allora tale cambiamento non può avvenire se non per gradi, quando la cellula attiva nell’automa mobile visita questa collezione. E questo significa che tra due momenti successivi percepiti da un osservatore all’interno dell’automa mobile ci possono essere moltissimi passaggi sottostanti all’evoluzione complessiva dell’automa mobile. Se un osservatore potesse dire cosa sta succedendo ad ogni passo, allora sarebbe facile riconoscere il modo sequenziale in cui le cellule vengono aggiornate. Ma poiché un osservatore che fa parte di un automa mobile può dire solo occasionalmente cos’è successo, dal suo punto di vista molte cellule possono sembrare aggiornate in parallelo tra momenti successivi” (Stephen Wolfram, A new kind of science)

Il percorso di un automa mobile all’interno di una collezione di cellule

Il toy model di Wolfram, basato sugli automi cellulari, descrive un universo caotico nella sua apparenza e combinatorio nella sua forma occulta. Secondo il principio dell’invarianza causale è possibile rendere conto della complessità manifesta del mondo fisico basandosi sull’interazione combinatoria di pochissimi elementi di base. Ipotizziamo che un osservatore/avventuriero si debba cimentare con un labirinto, e che vi acceda dall’entrata E (effetto). Per poter trovare la via verso l’uscita C (causa) avrà a disposizione solamente delle informazioni parziali sull’ambiente che lo circonda. Nel frattempo, la rete d’interazioni atomiche nel quale è inserito si modificherà seguendo lo scorrere del tempo da una situazione di bassa entropia ed uno stato altamente caotico. Diversamente da quanto accade in un labirinto stabile, in questo modello fisico non esiste un unico percorso causale che si dipinge dal passato al presente, ma uno spazio di compossibilità.

Rappresentazione di una rete causale secondo il modello di Wolfram

Questo significa che fra presente e passato esiste un certo isomorfismo topologico e combinatorio, ma non vi è un’unica linea temporale, né un’unica connessione possibile fra effetti e cause. Il ragionamento di Wolfram si applica in modo più chiaro ad un sistema quantistico e non è stato elaborato per spiegare il funzionamento del ragionamento abduttivo. Possiamo però usare l’immagine del labirinto e della moltiplicazione dei percorsi causali di Wolfram come strumenti per chiarire il principale errore del pensiero cospirativo.

Se all’interno di una teoria del complotto ‘tutto è connesso’, questo significa che ogni evento condivide con tutti gli altri qualcosa di comune. Ad esempio, l’insieme degli oggetti di media taglia percepibili condivide la propria di essere composto da atomi. È quella che Aristotele chiamerebbe causa materiale. Tuttavia, questo non significa che gli atomi siano la causa finale degli enti che percepiamo. Il punto è che stabilire una regola di connessione fra eventi, fatti o collezioni di enti non significa trovare il filo rosso che lega assieme ogni elemento, ma, appunto, quantificare e selezionare le relazioni. In caso contrario si ha una somiglianza di famiglia, ovvero l’istituzione di un tipo di connessione molto debole e vaga fra un evento (o un oggetto) ed un altro. Fra l’oggetto A e l’oggetto F non ci sono proprietà comuni se non quella di appartenere alla stessa collezione.

Rappresentazione grafica di una somiglianza di famiglie, da Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio

Dal punto di vista della teoria degli insiemi, questa proprietà corrisponderebbe all’insieme vuoto “∅”, che è sottoinsieme di tutte le possibili raccolte di elementi. Per questo l’immagine del labirinto che abbiamo dettagliato precedentemente diviene sempre più ordinata all’interno di una teoria del complotto. Se ogni entrata corrisponde ad un effetto e tutte le entrate conducono ad un’unica uscita (la causa), allora tutte le entrate sono equiprobabili — non ci sono piste false.

Così come avviene in un campo gravitazionale, tutte le linee di forza sono orientate radialmente verso una massa centrale. Immaginiamo di porre sui punti infiniti di una circonferenza gli Effetti (e1, e2, e3, en) ed al centro ©, l’unica Causa. Indipendentemente dai percorsi, dagli errori e dalle differenze, tutti i nostri dati e tutte le nostre ipotesi saranno orientati a giustificare un’unica spiegazione. Ovviamente, anche questo modello richiede un certo grado di semplificazione: una narrazione cospirativa si compone di molti foci e spesso non ruota attorno ad un unico asse d’interesse. Il modello della teoria del complotto come attrattore gravitazionale messo in rapporto con le procedure del metodo scientifico e razionale mostra chiaramente l’assenza di un sistema in grado di correggere le assunzioni iniziali. Detto in altri termini: se continuo ad applicare la stessa regola, indipendentemente dal fatto che ad ogni nuova scelta, e ad ogni nuovo caso dovrei valutare la correttezza delle mie scelte precedenti, mi troverò imbrigliato in circolo vizioso — un algoritmo che procede all’infinito senza mai raggiungere un risultato finale. Il labirinto dal quale ero partito si trasformerà gradualmente in una spirale senza via d’uscita.

7. Genealogie, mondi possibili e stile paranoico

Albero genealogico della terza stagione della serie Dark

Abbiamo visto che, da un punto di vista narratologico, l’espressione ‘tutto è connesso’ è valida, particolarmente nei romanzi gialli. La stessa cosa si potrebbe dire per un certo tipo di narrazioni fantastiche (non dimentichiamoci che Poe ha di fatto ‘inventato’ la detective story con I delitti della Rue Morgue). Nei mondi possibili di romanzi e racconti è sempre possibile estrarre una fabula, una sequenza ordinata di eventi. Nel caso di un’inchiesta criminologica o della progressiva comprensione di un mistero fantascientifico, le sequenze narrative, i personaggi e le tracce sono inevitabilmente trascinati verso una risoluzione finale — la catarsi.

Il grado di complessità dell’intreccio, però, è molto variabile: nelle storie più semplici esso può tranquillamente sovrapporsi alla fabula. Così non avviene nella storia della serie Dark, nella quale c’è una frequenza considerevole di anomalie: viaggi nel tempo, dimensioni parallele, personaggi che si triplicano. Ambientata in un piccolo villaggio tedesco, Dark narra la complicata storia delle relazioni di parentela fra un gruppo di famiglie. Sfruttando i paradossi dei viaggi del tempo e dei mondi possibili, Dark tratteggia una ramificata serie di eventi — che, anche all’interno di una singola puntata, si sviluppano contemporaneamente su piani narrativi paralleli. Al centro della vicenda c’è un esplosione nucleare, una coppia d’innamorati, una società segreta e delle misteriose sparizioni di bambini. La terza stagione, recentemente conclusa, mostra allo spettatore l’intero quadro delle relazioni di parentela fra i personaggi. Si tratta di un quadro particolarmente intricato ed il fatto che venga presentato attraverso flashback e flashforward continui non aiuta.

È interessante notare come il grafo aciclico orientato che permette di strutturare le reti di credenze e la forma di un labirinto è lo stesso che serve a disegnare un albero genealogico. In una serie in cui ‘tutto è connesso’ c’è un inevitabile lezione morale da imparare, che viene ribadita in varie occasioni: la volontà di correggere quello che si ritiene essere un errore (la perdita ingiustificata di un familiare) conduce alla proliferazione di storture, paradossi ed inconsistenze. Così come una teoria del complotto ha inizio dal momento in cui si decide di negare una tesi condivisa, affermando un’interpretazione alterativa, allo stesso modo la creazione di un mondo possibile diverso da quello attuale causa l’attivazione di una sequenza paradossale di eventi. Nel prossimo paragrafo prenderemo in analisi le ragioni cognitive di questo fenomeno. Per ora ci basta sottolineare come il mondo possibile tratteggiato da una teoria del complotto e quello di un romanzo giallo o fantascientifico traggono la loro origine da un rifiuto della struttura caotica ed insensata del mondo. Un lutto, una catastrofe o un evento sgradevole generano una sensazione di disordine ed insensatezza. Per ricercare un minimo di ordine nel nostro ambiente percettivo proiettiamo una vicenda più meno plausibile che sia in grado di connettere fra loro le disjecta membra della nostra esistenza. Così facendo non risolviamo i problemi, e non curiamo il nostro lutto, ma spostiamo l’entropia.

Nella teoria di Qanon, così come nell’universo diegetico di Dark abbiamo a che fare con mondi possibili instabili. Il pericolo ravvisato dai cospirazionisti concerne la fine del nostro mondo, loro è il compito di risvegliare le coscienze dei ‘sonnambuli’ ed armarli per la battaglia finale. Uno stile paranoico innerva i gialli, le teorie del complotto, un certo tipo di narrativa fantascientifica ed il metodo abduttivo portato alle sue estreme conseguenze.

Quando Agamben dichiarava che il metodo delle scienze umane dovrebbe seguire il paradigma indiziario era piuttosto lontano dal suo attuale endorsement alle teorie cospirative, eppure, a ben vedere, c’è sempre stata nella produzione saggistica del filosofo romano una tendenza allo stile paranoico. Assumere che una remota figura del proto-diritto romano sia all’origine dei campi di concentramento, o che i mercati finanziari siano fondati su dottrine scolastiche e sull’occasionalismo implica un uso disinvolto delle abduzioni creative. Il problema non è decidere se le ricostruzioni storiche di Agamben siano o meno valide, ma evidenziare la vicinanza fra una ‘archeologia’ particolarmente azzardata ed una conspiracy theory. Questo non significa che le genealogie di Homo Sacer siano epistemologicamente inutili, anzi, spesso ci permettono di ridurre la complessità di un fenomeno altrimenti inspiegabile. Le genealogie si situerebbero a metà strada fra il procedimento bayesiano di aggiornamento e revisione delle ipotesi e l’istituzione di un mondo possibile che caratterizza le teorie del complotto e gli universi narrativi. Quando lo iato fra il mondo reale e quello possibile diventa incolmabile, il carattere razionale e scientifico delle teorie passa in secondo piano, e lascia spazio ad una componente estetica.

8. Apofenia ed entropia

La selezione naturale favorirà le strategie che generano molte associazioni causali scorrette per stabilire quelle essenziali per la sopravvivenza e la riproduzione”. In altre parole, tendiamo a cercare patterns significativi, che ci siano o meno, e c’è una ragione perfettamente valida per farlo. In questo senso, patternicities come la superstizione e il pensiero magico non sono tanto errori cognitivi quanto processi naturali di un cervello che apprende” (Michael Shermer, The Beliving Brain, St. Martin’s Griffin, 2012)

Il filosofo della mente Andy Clark propone, ormai da quasi un decennio, una teoria bayesiana per interpretare in modo unificato le varie funzioni della cognizione umana (percezioni, inferenze credenze, movimento). L’approccio delle reti bayesiane, abbiamo visto, descrive una concatenazione di cause ed effetti quantificata in modo probabilistico e costantemente aggiornabile. L’ipotesi di Clark è che la nostra mente, ad un livello molto astratto, funzioni come una macchina predittiva. Ciò che noi chiamiamo percezione è sempre interpolato da un precedente modello costituito dalle aspettative che abbiamo immagazzinato sul probabile assetto del mondo. Questa funzione del nostro sistema nervoso è legata alla riduzione dell’entropia ambientale: così come nei processi neurologici che sottendono la visione avvengono illusioni percettive che rilevano una retroazione fra frame interpretativi e dati percettivi, allo stesso modo, la cognizione getta una rete probabilistica su tutti i dati sensoriali, indirizzandoli all’inferenza verso la spiegazione migliore. La visione è uno dei casi più studiati, e la retroazione fra ipotesi, percezioni e correzione degli errori si estenderebbe dalla retina alle varie aree che compongono la corteccia visiva.

Lo scopo primario delle reti bayesiane dovrebbe essere quello di correggere gli errori cognitivi e percettivi, ma ci sono dei casi in cui la retroazione fra inferenze, credenze ed osservazione deraglia generando un feedback positivo auto-rinforzante.

L’improbabile (telepatia, cospirazione, persecuzione, ecc.) diventa meno sorprendente, e — poiché la percezione stessa è condizionata dal flusso top-down delle aspettative precedenti — la cascata di informazioni errate torna indietro, permettendo alle false percezioni e alle credenze irrazionali di solidificarsi in un ciclo coerente e solidale. Un processo di questo tipo è auto-rinforzante. Man mano che i nuovi modelli generativi prendono piede, la loro influenza torna a scorrere controcorrente in modo che i dati in arrivo siano scolpiti dalle nuove (ora false) aspettative in modo da “conformarsi alle attese”. False percezioni e credenze improbabili formano così un ciclo di auto-conferma epistemicamente isolato” Andy Clark, «Whatever next? Predictive brains, situated agents, and the future of cognitive science», Behavioral and Brain Sciences, 2013, 36, 3.

Quando il motore bayesiano della mente umana inizia a girare a vuoto, si possono sviluppare inferenze iper-associative fra eventi non correlati, comunemente note come apofenia. È stata osservata una correlazione positiva fra l’apofenia, schizofrenia e paranoia. Correlazione che è presente anche in esperimenti che mettono in rapporto lo stile cognitivo di cospirazionisti e scettici. Vi è inoltre un legame fra l’apofenia e la manifestazione di un certo grado di creatività. Questi esperimenti di psicologia cognitiva affermano che, indipendentemente dal tipo di test (su sequenze di parole, immagini o coincidenze nella vita quotidiana), esiste un certo stile cognitivo iper-associativo che individua in sequenze casuali di fenomeni (semantici, grafici, autobiografici) una struttura ordinata di fondo.

Kevin Foster e Hanna Kokko, professore e professoressa di biologia ed ecologia evoluzionistica hanno elaborato un modello matematico per rendere conto delle ragioni darwiniane dell’emergenza delle teorie del complotto e delle false credenze in generale. Il modello, ancora una volta, è bayesiano: da un punto di vista evolutivo, è più idoneo mantenere una spiegazione causale, anche se errata, che soppesare la correttezza dell’inferenza. Nell’originario ambiente di adattamento evoluzionistico della specie umana, è più adattivo orientarsi nel mondo attraverso un elenco pletorico di inferenze generali, che verranno verificate successivamente e, se corrette, tramandate, piuttosto che non ipotizzare affatto inferenze per scarsità di dati. Un rumore insolito, il colore acceso delle squame di un rettile, l’odore sgradevole di una pianta, l’aspetto minaccioso di un promontorio, il moto irregolare di un astro ed altre anomalie sono originariamente interpretate come fonti di pericolo o condensazioni di informazioni prognostiche sul destino di un popolo o di un individuo. In questi dettagli, il tempo ed il flusso causale si concentrano, dando luogo ad una segnatura — un indice prospettivo (presagio), o retrospettivo (una traccia).

In The Beliving Brain lo storico della scienza Michal Shermer riporta queste ed altre spiegazioni neurologiche per tratteggiare una teoria generale della mente cospirativa. Egli individua due elementi principali: l’apofenia e l’attribuzione di agentività. Mentre la prima descrive il processo di estrazione di un ordine immaginario nell’entropia dei fenomeni, la seconda lega quest’ordine all’azione intenzionale di un’entità senziente. In una nicchia ecologica particolarmente ostile, l’apofenia e l’attribuzione di agentività sono strategie altamente adattive, volte alla riduzione dell’incertezza e dell’ansia — ma cosa succede quando queste strategie si trovano proiettate in un contesto altamente antropizzato, dove la conoscenza è archiviata in enormi serbatoi di dati e dove lo stesso metodo scientifico sembra diventare obsoleto?

Il progresso tecnologico, medico, economico e ‘metodologico’ della nostra specie dovrebbe rendere inutilizzabili degli stili di pensiero arcaici, fondati su un paradigma venatorio o simpatetico. Di fatto, uno dei fini della scolarizzazione è proprio quello di correggere le istintive cognizioni vernacolari scorrette, insegnando le corrispondenti nozioni scientifiche ed il metodo per valutarle. Ma l’entropia percepita nel nostro attuale ecosistema (biologico, sociale e tecnologico) non sembra affatto essere limitata dalla modernizzazione e dal disincanto. L’iper-complessità tecnologica o climatica sono allo stesso tempo fonti di stupore e ansietà.

Le conspiracy theories proliferano in un ambiente altamente entropico, ovvero precario: le sensazioni di vulnerabilità e precarietà annidano nella nostra mente il germe del dubbio: una pandemia, un attentato terroristico, una grave malattia, una crisi economica non possono essere frutto del caso. Vi è però una differenza fra complessità ed entropia: lo stile paranoico può imbastire reti bayesiane molto complicate, ma queste non sfiorano nemmeno lontanamente l’oscurità e l’inavvicinabilità di alcune specializzazioni della fisica teorica o della climatologia.

9. Il dilemma dell’abduzione. Dall’errore alla verità e viceversa

Christian Huygens, Rappresentazione delle ipotesi sugli anelli di Saturno da Systema Saturnium (1659)

Nel paragrafo 6 abbiamo parlato di labirinti e reti bayesiane. Abbiamo visto che la corretta applicazione del teorema di Bayes permette di escludere alcuni percorsi (e alcune inferenze) sulla base dell’acquisizione di nuovi dati. Se osserviamo la progressiva correzione delle ipotesi sugli anelli di Saturno dall’inizio alla metà del XVI secolo vedremo come l’uso di strumenti di misurazione più precisi, unita al perfezionamento delle teorie astronomiche (sia a livello di ipotesi che di raccolta dei dati) abbiano reso possibile la descrizione corretta della forma del pianeta. Questo significa che, a partire da uno stato iniziale d’indecisione fra varie possibilità interpretative, è stato possibile eliminare quelle che non corrispondevano alle descrizioni aggiornate o che erano meno plausibili. Data una ramificazione di inferenze possibili, solo una risulta vera, acquisendo lo stato di dato. Se volessimo mettere in discussione il fatto che un anello di ghiaccio e materiale roccioso circondi Saturno, dovremmo ipotizzare che tutti i sistemi di rilevazione mentano. A questo punto, il passo è breve dal completo dispiegamento di una teoria del complotto: c’è ormai una cospirazione ordita da malvagi astrofisici che vogliono nascondere una verità scomoda al pubblico. Ma perché lo fanno? Evidentemente c’è un ulteriore ragione, magari quello che crediamo essere un anello è in realtà una mega-struttura artificiale.

La funzione periodica che descrive il rapporto fra cospirazioni e teorie scientifiche oscilla fra entropia ed ordine, verità ed errore. Il paradigma indiziario descrive quella parte del processo che apre la ramificazione delle abduzioni, quello scientifico, invece, restringe il campo delle inferenze a quelle più corrette. Ma cosa significa ‘corrette’?

Segreto (Hito Steyerl, A Sea of Data: Apophenia and Pattern (Mis-)Recognition, E-Flux, Aprile 2016

Gli algoritmi di riconoscimento delle immagini sfruttano le reti bayesiane per affinare i loro meccanismi di identificazione. Tuttavia, così come avviene nel caso della cognizione umana, anche le procedure automatizzate sono soggette ad errori. Questi si manifestano in bias razzisti o semplici misconoscimenti. La fonte dell’errore è situata nella mancata correzione delle regole di abduzione: non esiste il concetto di ‘verità del riconoscimento’, ma una stima probabilistica del rapporto fra casi e regole.

La raccolta di dati, la formulazione di ipotesi e le verifiche sperimentali possono assumere due connotazioni opposte: da un lato tendono al perfezionamento mediante la correzione degli errori precedenti, dall’altro possono innescare un circolo auto-rinforzante di illusioni.

Sia la nostra struttura cognitiva che gli algoritmi che inventiamo per esternalizzarla sono fondati su modelli predittivi. L’esternalizzazione e l’automazione di alcuni processi inferenziali trasferisce parte del lavoro cognitivo ad un appartato che si comporta come una black box. Ecco allora che il numero delle abduzioni ipercodificate (quelle che richiedono una scelta da parte del soggetto) si riduce a scapito delle abduzioni ipocodificate (le semplici correlazioni fra un fatto ed un’unica spiegazione). In altre parole, è obsoleto formulare nuove ipotesi, perché ormai i campi del sapere scientifico sono talmente specializzati ed incomunicabili che ogni possibile iniziativa individuale risulterebbe infondata. In realtà, all’interno di ogni micro-comunità scientifica, la lotta retorica e sperimentale fra le ipotesi è ben presente, cosicché l’abduzione creativa trova l’ambiente adeguato alla sua proliferazione.

Ciò che manca è una teoria della complessità che sia in grado di costeggiare l’entropia senza cristallizzare il sapere in compartimenti stagni o tentare di abbracciarlo completamente nella sua disarmante vastità. Non si tratta, in ultima analisi, di smentire nodo per nodo le fragili reti bayesiane delle teorie del complotto, ma di estrarne il nucleo genuinamente creativo — il potere di riannodare questioni metafisiche e psicologiche, politiche ed ecologiche, storiche e sociologiche. Le teorie cospirative non sono irrazionali, sono algoritmi che processano i dati in modo pigro, e che procedono imperterrite ad elaborare le stesse deduzioni. L’istante creativo, il momento immaginativo nel quale si getta una rete contro il caso, è il motore di ogni innovazione, le cui componenti sono disperse sia nella selva delle credenze irrazionali che nel giardino delle scienze esatte.

--

--