Janus — La sfida

Tommaso Guariento
7 min readJan 15, 2022

L’incontro fra specie provenienti dall’antiuniverso generò una pletora di domande fra gli esseri che vivono sul pianeta Terra. Questa era una prova che la teoria del punto di Giano era corretta. Come gli antiumani avessero potuto raggiungere il pianeta Terra restava un mistero.

Gli antiumani erano la specie con il quoziente intellettivo più alto dell’antiterra, così come la specie Homo Sapiens Sapiens lo è di questo pianeta. Tuttavia, la loro fisiologia, il loro comportamento, e il loro sistema nervoso erano completamente opposti a quelli degli esseri umani. Gli antiumani conoscevano il futuro così come gli umani sapevano ricordare. In pratica l’inversione dell’entropia nell’Antiuniverso aveva reso possibile lo sviluppo di forme d’intelligenza superiore, qualunque cosa quell’affermazione volesse dire. Nell’antiuniverso il tempo scorreva al contrario, e l’entropia diminuiva al posto di aumentare. Per questo l’evoluzione aveva seguito un corso diverso, e gli organismi, da quelli più semplici a quelli più complessi, avevano sviluppato, prima naturalmente, poi culturalmente, una propensione maggiore per la conoscenza accurata del futuro rispetto alla memoria degli eventi passati. Gli antiumani possedevano un cervello che, diversamente da quello degli umani, non era predisposto per la previsione e l’acquisizione di nuove informazioni in rapporto all’ambiente, ma conosceva esattamente il futuro. Non aveva bisogno di fare difficili computazioni e ragionamenti probabilistici, esso sapeva già quello che gli sarebbe accaduto, senza per questo aver alcuna cognizione precisa del proprio passato.

Gli antiumani vivevano in quella che potremmo categorizzare come una società castale, sapendo che le rivoluzioni si sarebbero rivelate indici infruttuosi di una futura restaurazione. Quando i primi antiumani si presentò sulla Terra, il clima era decisamente apocalittico. L’innalzamento delle acque e l’acidificazione degli oceani avevo sterminato gran parte della popolazione. Le uniche zone abitabili, situate al di sopra del Circolo Polare, erano densamente abitate. Gran parte delle reti di telecomunicazione erano state interrotte — la gente viveva in piccole bande munite di tecnologie a energia solare. C’era un’unica criptovaluta e la principale attività produttiva era costituita dalla pesca.

Gli antiumani non sembravano avere intenzioni bellicose, anche se, dall’inizio del loro contatto con i terrestri, avevano espresso la volontà di competere con loro in una serie di sfide. Facilitati dalla loro conoscenza del futuro, gli antiumani partecipavano solo alle competizioni che sapevano avrebbero vinto in anticipo.

Gli antiumani valutavano molto positivamente il grado di conoscenza del proprio futuro, così come avveniva per la memoria eidetica nelle società premoderne, e tutta loro tecnologia era orientata a questo fine. Per un essere umano, intraprendere una sfida intellettuale con un antiumano era sostanzialmente un esercizio inutile. Mentre il primo doveva faticosamente ipotizzare le possibili scelte dell’avversario, usando le più raffinate tecniche dell’inferenza bayesiana e della teoria dei giochi, all’antiumano bastava agire intuitivamente. Anzi, come affermava in tempi remoti l’arcaica filosofia taoista, egli agiva senza pensare.

Argutamente, gli antiumani si rifiutavano di partecipare a sfide intellettuali che implicassero doti di memorizzazione. I pochi neurologi e biologi rimasti erano chiaramente interessati a comprendere i meccanismi di previsione degli antiumani. Si chiedevano come fossero possibili semplici leggi come la selezione naturale in un contesto nel quale tutto era predeterminato. Fiorirono quindi molti studi sull’armonia prestabilita, sulla futurologia e sulla filosofia taoista, nella speranza di cogliere il punto debole di quella specie che si era palesata improvvisamente sulla Terra.

Oltre alla conoscenza del futuro, gli antiumani esibivano un incessante processo di ringiovanimento: la loro vita, infatti, si conduceva dalla morte verso la nascita. Gli individui antiumani che approdavano sulla Terra annunciavano pubblicamente il nome dello scienziato, dello psicologo o dell’economista che avrebbero sfidato. Decidevano anche il gioco — che fosse una partita di scacchi o una serie di puzzle a difficoltà crescente poco importava. Il risultato era sempre lo stesso. Gli antiumani vincevano inesorabilmente tutte le sfide, anche quando lo sfidante non era la persona da loro richiesta.

Forse un elemento di debolezza, iniziarono a supporre inizialmente gli scienziati della Terra, risiedeva nella tecnologia dell’oblio inventata dagli antiumani nel periodo che per noi corrisponde dal XVII secolo. Per favorire la coesione delle società castali, gli antiumani avevano inventano dei dispositivi che facilitavano la dispersione e la dimenticanza degli eventi passati. Meno conoscevano del proprio passato, della storia, della biologia e della fisica dell’antiuniverso, meglio agivano sul presente.

Gli antiumani erano sporadicamente interessati alle forme di vita terrestri. L’intera origine della noosfera gli sembrava enigmatica. Perché gli esseri umani, così portati alla previsione rispetto alle altre specie che popolavano il pianeta, versavano in condizioni così disastrose al loro approdo? Certo, essi sapevano come si sarebbero comportati, vedendo in anticipo la lenta dissoluzione delle ultime società rimaste, il terrore negli occhi degli ultimi sopravvissuti, la devastazione delle città-stato e l’oblio di ogni tecnologia. Essi lo vedevano, lo conoscevano, ma subitamente, lo dimenticavano. Per questo erano costantemente inebriati da uno stato di sorpresa ed eccitazione. La loro vittoria e conquista di un pianeta entropico stavano già inscritte, nel futuro che ogni antiumano conosceva nella sua vecchiaia, e che ogni giorno riviveva.

“Se riuscissimo ad impossessarci di un anticervello”

“Certo, saremmo in grado di salvare la nostra specie dalla sua estinzione”

“Ma questo è biologicamente impossibile”

“Eppure loro non possono imitare

“Ma noi non possiamo vincere”

“Come facciamo a coglierli di sprovvista?”

“Dovremo agire senza pensare, come affermava Laozi”

Agli antiumani poco interessava dell’insieme delle conoscenze umane rimaste, e di quelle che avevano perduto. A parte qualche ramo della filosofia indiana, della teologia negativa, e del pensiero nichilista, gli antiumani erano sostanzialmente indifferenti in rapporto alla possibilità di poter apprendere qualcosa sul loro passato studiando l’enciclopedia umana. Capivano, anche se presto se lo dimenticavano, che, dispersa nell’ammasso dell’accumulazione di conoscenze che l’apparato della noosfera accumulava, qualche scintilla della macchina dell’oblio poteva essere dispersa, anche se sapevano che gli esseri umani non avrebbero mai colto il suo segreto prima della loro completa dissoluzione.

“Non saremo mai in grado di ricordare il futuro come fanno gli antiumani”

“Quindi giocare d’anticipo ci sarebbe inutile”

“Resta però una possibilità”

“Quale?”

“Quella di produrre un atto imprevedibile”

“Ti riferisci alla contingenza delle leggi naturali?”

“Esattamente”

“Ma, posto che sia vero, come facciamo a realizzare un evento imprevedibile? Siamo troppo pochi, dispersi e costantemente in guerra”

“L’atto imprevedibile non si muove in accordo con le leggi del cosmo, ma le plasma a suo volere”

“E se gli antiumani seguono pedissequamente le leggi della neghentropia…”

“…allora ci restano due soluzioni, o copiare il loro ragionamento, muovendoci seguendo l’ordine del Dao, oppure accrescere l’entropia, per mezzo della scienza, della volontà e del desiderio”

“Ma questo ragionamento implica che la magia…”

L’idea era semplice. Se gli organismi antiuniversali seguono le leggi della neghentropia, hanno costante bisogno di liberarsi dell’ordine in eccesso che producono. Ma questo stesso ordine è frutto di un costante sbialanciamento con l’entropia che riescono ad assorbire.

“In altre parole, più cerchiamo di essere imprevedibili, più loro ci anticipano. Non hanno realmente un piano di colonizzazione, essi sanno già che questo pianeta è destinato ad essere conquistato. Non stanno perdendo tempo, con le loro prove di abilità e i loro giochi. Non sanno nemmeno perché lo stanno facendo. Sanno solo che avranno la Terra, e che noi capitoleremo”

“Ragioniamo. Cosa gli basta per conquistarci? La loro prescienza. Cosa serve a noi per impedire che questo accada? Un atto totalmente imprevedibile, oppure una riscrittura del passato. Del loro passato. Qualcosa di cui non potrebbero nemmeno rendersi conto. Ma anche se rubassimo una delle loro navicelle, chi ci assicura che, viaggiando nel tempo, saremmo in grado di approdare sull’esatto punto storico nel quale il nostro intervento potrebbe salvarci?”

“Nulla”

“Ma le navi sono incustodite”

“Forse sanno che avremmo potuto rubargli le navi, e, nonostante questo, essere conquistati”

“Certo, ma, riconfigurando il loro passato, cambierà anche il loro futuro, e non potranno più sapere perché e se questo è successo”

Gli umani decidono quindi di chiedere l’uso di una navetta antiumana per giungere nel pianeta antiterra nel XVII secolo.

Nessuna risposta negativa, o dubbio. La navetta gli viene consegnata.

Un gruppo di scienziati umani raggiunge l’antiterra con facilità. Si trovano di fronte ad una marco-società castale totale. Tutto il pianeta è riunito in un’unica mega-capitale. Come in un termitaio o in un’arnia, gli antiumani eseguono i loro compiti senza frizioni. Una delegazione li stava attendendo, seraficamente.

“Siete giunti per modificare il nostro passato, sapevamo del vostro arrivo”

“Da quanto”

“Da qualche istante”

“Abbiamo visto le nostre navicelle esattamente qualche minuto fa, sappiamo che venite da un altro tempo e dall’universo entropico”

“Conosciamo già le vostre intenzioni, per questo stiamo diffondendo capillarmente questa macchina dell’oblio, così nessuno ricorderà più nulla”

“Ma quindi, la diffusione della tecnologia dell’oblio è stata un effetto della nostra venuta?”

“Così stiamo prevedendo e così avviene”

Di ritorno, gli scienziati temevano quello che avrebbero potuto vedere — una terra sommersa, enormi parallelepipedi argentei sfilanti sopra i grandi oceani. Dalla noosfera nessun messaggio segnalava forme di vita intelligenti. Enormi banchi di pesci e mammiferi si diffondevano a macchie proteiformi sotto la superficie blu oltremare. Non un gabbiano solcava i cieli tragici del Circolo Polare, l’acqua regnava incontrastata, senz’onde, piatta.

Solo un cilindro appiattito, fatto di un raro metallo trasparente, sollevato qualche metro sul piano oceanico, era immobile, con un’altra delegazione di antiumani disposti in semicerchio.

Dalla nave uscivano gli umani, sorpresi e disperati da quello che li circondava: un enorme distesa d’acqua e null’altro. Parenti, amici e nemici, le ultime rovine delle città-stato — tutto era stato spazzato via da un definitivo incremento del livello del mare. Al gruppo di scienziati non restava che attendere l’ultimo verdetto e la vittoria finale degli antiumani. Così, impassibili e sicuri, essi rivolsero loro le seguenti parole:

“Della prescienza non suggendo il frutto dell’albero etico siamo colmi”

“Ma non possiamo divincolarci da quelle stesse leggi fisiche che fanno precipitare i gravi e attraggono i magneti”

“Perfezionando la via dell’oblio, abbiamo raffinato il nostro senso del tempo”

“Ma non cogliamo la ragione e la storia delle nostre azioni”

“Ecco”

E gli antiumani mostrarono una sfera translucida contenente una freccia dotata di due cuspidi, una, normalmente, posta all’apice, l’altra, stranamente incastonata alla base, nel posto dove ci sarebbe dovuto essere l’impennaggio.

Gli umani conoscevano quella sfera, ne avevano inventata una nei secoli precedenti, racchiudeva un corallo. Freccia e corallo erano come due simboli monadici, che racchiudevano l’essenza dell’universo e dell’antiuniverso, ma anche la forma interna del processo di ragionamento delle due culture — l’una, libera ma razionalmente limitata, e ramificante, l’altra, predeterminata, schiava e onnisciente.

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